Nella gelida notte berlinese il problema tedesco era parso il ritorno dei liberali, l'impazienza se non il protagonismo del suo leader giovane e un po' arrivista. Ma, in realtà, se la politica in Germania ne ha uno, quel problema oggi si chiama Angela Merkel. Ha detto che ora non si dimette, "al paese serve stabilità". E dunque sembrano assai più vicine le nuove elezioni, le preferisce al governo di minoranza e ora la parola tocca al presidente.
La fuoriclasse della Cdu, leader dell'Europa e "del mondo occidentale", è alle prese con una particolare forma di nemesi, che le dà certamente da riflettere: tutti, adesso, hanno il terrore di governare con lei. Per questo motivo è saltato ieri il tavolo 'giamaica', che ha visto tirarsi indietro i teoricamente affini liberali di Christian Lindner (il partito traumatizzato, che governando con la Bundeskanzlerin finì fuori dal Parlamento nel 2013).
E sempre per lo stesso motivo l'Spd ha negato ancora una volta l'ipotesi di una Grosse Koalition: "Non siamo a disposizione", ha ribadito Martin Schulz, che ha perso la faccia con il crollo alle urne del 24 settembre. Loro con la cancelliera non hanno solo governato, hanno messo paletti, vinto battaglie, eppure non vi è stata traccia di riconoscenza dagli elettori. Merkel si è affidata al presidente della Repubblica, incontrato a Bellevue, per riferire l'andamento dei colloqui esplorativi clamorosamente naufragati a pochi minuti dalla mezzanotte, quando il capo dei liberali ha portato via il suo partito, affermando che mancava la "fiducia" reciproca.
E Frank-Walter Steinmeier ha rivolto un monito severo a tutti: "Chi si candida per assumere la responsabilità politica, non può tirarsi indietro quando ce l'ha nelle mani. Non si può semplicemente rimandare indietro la responsabilità ai cittadini". In Europa si guarderebbe "con grande preoccupazione al paese più forte economicamente se le forze politiche non fossero in grado di prendersi le loro responsabilità". Ce l'aveva con tutti, e ha annunciato colloqui coi leader della 'giamaica', ma anche con gli altri, che hanno possibili convergenze di programma (la sua Spd). Che la moral suasion dell'ex capo della diplomazia possa far tornare indietro Schulz - accomodatosi all'opposizione dalla sera delle elezioni - è tutto da vedere. Dietro l'ex candidato c'è ancora tutta la vecchia guardia, che non ha apprezzato la corsa verso la panchina. Un governo di minoranza sembra, invece, non volerlo nessuno: la stessa Merkel, alla Zdf, ha affermato di preferire il voto a questa opzione. Intanto oggi la cancelliera è apparsa più debole, e sola, che mai. Spd e Linke non hanno usato giri di parole: "Ha fallito".
E i populisti di destra di Afd le hanno indicato la porta: "E' tempo che vada". Nell'Unione ha il sostegno di Horst Seehofer, che ne appoggerebbe la ricandidatura. Ma il presidente della Csu bavarese potrebbe avere i giorni contati politicamente. Lindner, che si è giocato la credibilità fra i partiti con un colpo di spugna, ha provato a spiegare: "Non è stata una decisione presa alla leggera. Non abbiamo tradito i nostri elettori e le nostre idee. Non c'era un progetto comune". A quanto trapela quello che sarebbe mancato è qualcosa in cui i liberali potessero rispecchiarsi: la Fdp non si sarebbe riconosciuta in una trattativa zeppa di dettagli, in cui Merkel era troppo concentrata ad assecondare Verdi e Csu.
"Due settimane fa glielo aveva detto che se fosse andata avanti così la cosa, per i liberali non poteva andare", dice una fonte all'ANSA. La crisi tedesca mette in angoscia l'economia - la Germania ha perso la partita sull'Eba, l'agenzia sulle banche andata a Parigi - e i vicini europei, che temono lo stallo, o peggio la destabilizzazione. Spiegel riferisce però del consiglio del premier olandese, che ha dovuto rinviare la bilaterale in cancelleria. Mark Rutte sconsiglia di tornare la voto e invita a non seppellire il progetto della coalizione giamaica. Facendo passare un po' di tempo, potrebbe ancora funzionare, come dimostra la sua esperienza.
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