Arabia Saudita preme embargo Onu su armi a houthi
Assieme ai suoi alleati del Consiglio di cooperazione del Golfo (Ccg), l'Arabia Saudita sta facendo pressioni per ottenere dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite una risoluzione che imponga un embargo alle forniture di armi alle milizie sciite houthi in Yemen. Lo riferiscono fonti diplomatiche al Palazzo di vetro, secondo cui i rappresentanti dei paesi del Ccg hanno avuto una riunione sull'argomento con gli ambasciatori di Stati Uniti, Gran Bretagna e Francia. Secondo le stesse fonti, i paesi del Ccg vogliono che la risoluzione sia applicabile anche con la forza, in base all'art. 7 della Carta delle Nazioni unite.
Una pioggia di fuoco su installazioni militari e batterie anti-aeree alla periferia di Sanaa. Così, nel cuore della notte, è scattata l'operazione 'Tempesta di Fermezza' con cui l'Arabia Saudita e altri Paesi arabi, appoggiati dagli Usa, hanno deciso di impedire che l'intero Yemen cadesse nelle mani degli sciiti Houthi, sostenuti dall'Iran, e della fazione delle forze armate fedeli all'ex 'uomo forte' Ali Abdullah Saleh. Una nuova serie di raid nel pomeriggio ha colpito nel pomeriggio una base militare nella provincia di Taiz, circa 200 chilometri a sud di Sanaa. Intanto, mentre fonti al Cairo parlano di un prossimo intervento di terra guidato dai sauditi e dagli egiziani, il presidente yemenita Abdo Rabbo Mansur Hadi, fuggito ieri sera via mare da Aden, nel Sud del Paese, è arrivato a Riad per proseguire alla volta di Sharm El Sheikh, in Egitto, dove questo fine settimana è in programma il vertice della Lega araba. E il segretario generale, Nabil el-Araby, ha già espresso la "determinazione" dell'organizzazione dei Paesi arabi a "sostenere totalmente" l'operazione contro gli Huthi. A Sanaa il ministero della Salute ha denunciato la morte di almeno 18 civili nei bombardamenti che hanno colpito alcune case vicino all'aeroporto.
Riad ha dispiegato una forza di 100 aerei da caccia e 150mila soldati, oltre ad unità navali, nell'ambito dell'offensiva. Ma alla coalizione partecipano anche Egitto, Giordania, Emirati arabi uniti, Kuwait, Qatar, Bahrein, Marocco e Sudan, mentre il Pakistan, unico Paese non arabo ad essere invitato a farne parte, si è riservato di rispondere. La Casa Bianca ha fatto sapere che il presidente Barack Obama ha autorizzato supporto logistico e in materia di intelligence. E paradossalmente ciò avveniva proprio mentre i caccia americani entravano in azione contro l'Isis a Tikrit, in Iraq, dove gli Usa e l'Iran sostengono congiuntamente il governo a guida sciita di Baghdad contro la minaccia jihadista. Le reazioni nella regione hanno rispecchiato la classica divisione tra schieramenti sunnita e sciita che già si fronteggiano su altre crisi, in primis quella siriana. I bombardamenti sono un "passo pericoloso" che peggiorerà la crisi, ha avvertito l'Iran, che ha chiesto di fermarli. Lo stesso hanno fatto il governo di Damasco e le milizie libanesi Hezbollah, che hanno condannato "l'aggressione saudita-americana". Anche l'Iraq si è dichiarato contrario. Sull'altro fronte, oltre ai Paesi arabi direttamente coinvolti, anche la Turchia, che ha detto di "appoggiare l'operazione militare". "I negoziati rimangono l'unica opzione per risolvere la crisi yemenita", ha avvertito da parte sua il segretario generale dell'Onu, Ban Ki-moon. Lo stesso ha affermato Federica Mogherini, Alto rappresentante per la politica estera della Ue, dicendosi "convinta che l'azione militare non sia una soluzione". Intanto, però, tre anonimi alti responsabili egiziani hanno detto all'Associated Press che Arabia Saudita ed Egitto guideranno un'offensiva di terra dopo che i raid aerei avranno indebolito i ribelli e le forze leali a Saleh. Secondo le fonti, l'incursione dovrebbe puntare a spingere i ribelli a negoziati.
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