"Pronto a guidare l'America". Un conservatore sì, ma moderato. Determinato nel suo messaggio di ottimismo. Che guida portando risultati. Essendo se stesso prima di tutto. Jeb Bush presenta così la sua discesa in campo nella corsa per la Casa Bianca. Irrompendo nel campo repubblicano particolarmente affollato, il 'terzo' Bush parte già da predestinato frontrunner nella sfida con il 'pezzo da novanta' dei democratici, Hillary Clinton.
E cambia così il ritmo della campagna 2016, che con la battaglia tra le 'dinastie' d'America oggi entra davvero nel vivo. Eppure fin dal logo scelto per la campagna - "Jeb! 2016", senza alcun riferimento all'importante cognome - il repubblicano lancia un messaggio chiaro. A costo di apparire poco creativo - gli è già stato rimproverato - vuole giocare sul sicuro ripescando simboli e riferimenti delle sue vittorie personali (come governatore in Florida), del suo personale percorso, rinunciando ad evocare il padre e il fratello presidenti e preferendo ricordare il suo personale curriculum nello Stato d'adozione: da businessman a governatore con il piglio da manager "che porta risultati".
"In gioco c'e' la nostra prosperita' e la nostra sicurezza - spiega - Il nostro Paese e' sulla strada sbagliata. E mi candido per la presidenza degli Stati Uniti. L'America merita di meglio". Il candidato repubblicano rivendica il suo operato da governatore della Florida, affermando: "Sono stato un governatore riformatore, non semplicemente un altro membro del club. Non si sfugge alle responsabilità quando si e' governatore, non ci si mimetizza nella folla legislativa". E sottolinea:non c'e' sostituto per l'esperienza".
In platea a Miami per l'annuncio ufficiale c'è Barbara Bush, la 'capostipite' che in un primo momento riteneva ci fossero stati già abbastanza Bush alla Casa Bianca ma poi per Jeb ha cambiato idea. Non ci sono però il padre e il fratello George W. E' un'eredità pesante quella della 'dinastia' e un arma a doppio taglio: da una parte è il 'marchio di fabbrica' che può far affluire donazioni e finanziamenti copiosi ma dall'altra evoca un poco americano passaggio di scettro. Jeb lo sa e tenta di 'tagliare'. Lo ripete da settimane in interviste e dichiarazioni, lo sottolinea alla vigilia dell'annuncio ufficiale, arrivando ad ammettere che sì, "sono un po' introverso", ma non per questo non è pronto a guidare l'America, con il suo stile. E allora il discorso con cui lancia la corsa è equilibrato e pieno d'ottimismo: "In qualsiasi lingua, il mio sarà un messaggio di ottimismo. Perché sono certo che possiamo rendere i prossimi decenni in America i migliori mai vissuti in questo mondo". Poi la promessa di cambiamento: "Faremo in modo che Washington - la statica capitale di questo dinamico Paese - non sia più la causa dei problemi". La sfida a Hillary da "un conservatore compassionevole che porta risultati".
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