Donald Trump sfida nuovamente la comunità internazionale annunciando, in nome dell'America first, che non certificherà l'accordo sul nucleare iraniano. Un'intesa che invece tutti gli altri firmatari ribadiscono di voler rispettare e attuare, isolando così il presidente Usa: dalla Russia alla Cina fino naturalmente all'Europa, che per bocca dell'Alto rappresentante per la politica estera Federica Mogherini esclude la possibilità di rinegoziare il patto. Unico a gongolare è il premier israeliano Benyamin Netanyahu, che definisce "una decisione coraggiosa" la mossa di Trump. Stavolta, a differenza dell'accordo di Parigi sul clima, Trump evita lo strappo irreversibile e non chiede di reintrodurre le sanzioni revocate dall'intesa, invitando il Congresso e gli alleati a rafforzare quella che ritiene "una delle peggiori e più sbilanciate transazioni che gli Stati Uniti abbiano mai intrapreso", per colpa dell'amministrazione Obama. Il suo tuttavia è un vero ultimatum: in assenza di miglioramenti, "l'accordo verrà cancellato", minaccia dalla tribuna della Casa Bianca, dove parla in mondovisione per 18 minuti senza avere accanto nessuno della sua amministrazione, quasi a sottolineare la solitudine della sua decisione. E dove illustra anche una nuova e più ampia strategia per contenere le altre minacce della "fanatica dittatura iraniana", dal programma missilistico balistico al sostegno al terrorismo: la misura più immediata sono le sanzioni contro i guardiani della rivoluzione, i Pasdaran, il braccio armato di tutte le attività illegittime di Teheran. "Trump non può fare quello che vuole", ha tuonato in serata il presidente iraniano Hassan Rohani in tv, ribadendo l'impegno a rispettare l'accordo internazionale e ricordando che l'intesa è "stata ratificata dall'Onu" e "non è quindi un accordo bilaterale". Il tycoon ha scelto per ora un compromesso su un accordo che l'Iran tecnicamente continua a rispettare, come riconosciuto da tutti, anche dai suoi ministri degli Esteri e della Difesa, convinti che esso resti nell'interesse nazionale americano. Oggi infatti ha ribadito che Teheran viola non la lettera ma "lo spirito" dell'intesa e che gli effetti della rimozione delle sanzioni all'Iran non sono proporzionati ai benefici per gli Usa. E ha passato la palla al Congresso, che ora ha 60 giorni di tempo per decidere cosa fare. Trump ha suggerito al Parlamento di rivedere la legge interna americana che regola l'applicazione dell'intesa da parte degli Usa. Inserendo, come aveva spiegato poco prima il segretario di Stato Rex Tillerson, dei "trigger point", una sorta di linee rosse oltre le quali le sanzioni scattano in modo automatico: ad esempio la prosecuzione del programma missilistico balistico e il rifiuto di estendere la durata dei vincoli sulla produzione di combustibile nucleare, aggirando così la clausola 'sunset' che scatta dopo 15 anni. Lo speaker della Camera Paul Ryan ha già raccolto la sfida lanciata dal presidente. Ma il problema ora è vedere se il Congresso, più diviso che mai anche tra i repubblicani, troverà convergenze sufficienti per cambiare la legge e se la nuova legge avrà un effetto nel contenere l'Iran, insieme alle nuove misure della strategia complessiva proposta da Trump. Strategia che vede Teheran come uno dei principali agenti della destabilizzazione su scala globale, per l'attività del suo governo in Medio Oriente, la promozione del terrorismo in tutto il mondo, il sostegno al regime di Assad, le minacce alla libertà di navigazione nel Golfo Persico, l'ostilità verso Israele, il programma di riarmo missilistico, gli attacchi cibernetici contro gli Usa e i loro alleati, e le violazioni dei diritti umani.
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