Addio all'ultima del clan di Camelot: Jean Kennedy Smith, l'ultima sopravvissuta della generazione di JFK e RFK, è morta nella sua casa a Manhattan a 92 anni. Con lei cala il sipario su un'era: sorella del presidente John Fitzgerald e di due senatori, ottava di nove figli di Joseph Kennedy e della matriarca Rose Fitzgerald, è rimasta nell'ombra - madre, moglie e madrina di cause filantropiche - fino all'età in cui i suoi coetanei vanno usualmente in pensione: aveva 65 anni nel 1993 quando, complice il fratello Ted, Bill Clinton la mandò come ambasciatrice a Dublino, la prima donna Kennedy ad assumere un ruolo politico di rilievo. La scelta all'epoca fu controversa, data la totale mancanza di competenza della neo-feluca, se non che Jean era stata più volte in Irlanda da piccola quando il padre era ambasciatore a Londra.
E tuttavia, arrivata nell'isola sulla scia della fama di JFK, la nuova ambasciatrice divenne presto la seconda donna più importante d'Irlanda dopo la presidente Mary Robinson. Il suo colpo più grosso, giocato con l'audacia della dilettante, fu con Gerry Adams: fu lei a dare il nulla osta al visto che portò il capo del braccio politico dell'Ira negli Usa per spiegare l'importanza del cessate-il-fuoco e del ritiro dei britannici dall'Ulster. Sei mesi dopo, il 31 agosto 1994, venne firmata la tregua. E l'anno dopo, Adams fu ricevuto da Clinton alla Casa Bianca.
Nata a Brookline (Massachusetts), Jean era rimasta nel 2009, dopo la morte di Ted, l'ultima superstite dei tanti fratelli e sorelle entrati a far parte della storia americana, con la politica come mestiere di famiglia e un'aura di glamour e morte che contribuì a creare nell'immaginario collettivo il mito di una nuova Camelot. "E' nata così tardi che è riuscita a vivere solo le tragedie, non i trionfi", disse di lei la madre Rose.
Fra i tanti drammi di una vita, un anno dopo la morte del marito Stephen Smith, Jean vide nel 1991 il figlio William sul banco degli imputati in un caso di stupro. Ogni giorno in aula Jean dimostrò con la sua presenza che la famiglia credeva alla versione del ragazzo. William fu poi assolto per insufficienza di prove, ma il lungo processo lasciò molti nel dubbio che il verdetto fosse stato influenzato dalla parentela con il clan.
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