I dissidenti zittiti, l'accordo con la Lega per coprirsi le spalle, l'obiettivo di arrivare ad un incontro con Silvio Berlusconi da una posizione di forza, nei numeri dell'elettorato e in quelli in Parlamento. Matteo Renzi stringe sulla partita riforme e, come si poteva immaginare, usa il pugno di ferro nella sfida al manipolo di dissidenti che ha puntato i piedi sulle riforme, protestando con l'autosospensione dopo la sostituzione di Corradino Mineo in Commissione Affari Costituzionali. "Non mandiamo via nessuno, ma non possiamo permettere a qualcuno di ricattare con la sua presenza la posizione del Pd", è il diktat che il premier-segretario lascia agli ultimi passaggi del suo intervento in un'assemblea se non infuocata, di certo molto agitata. "Le riforme non sono un capriccio, ma la base per rimettere in moto la speranza", evidenzia Renzi. Alle sue spalle quel 40,8% a caratteri cubitali che non è un punto di arrivo, ma "una grande responsabilità" per tutti, a cominciare dai 14 senatori autosospesisi dopo la sostituzione di Mineo. Una scelta che Renzi rivendica: chi è al Pd "ci faccia la cortesia di non mandare sotto la maggioranza in commissione".
Gli applausi scandiscono le sue parole, ma segnano anche la replica di uno dei dissidenti, Walter Tocci: "Matteo, invita Chiti e Mineo a prendere un caffè, la tua è stata una sberla alle mosche". Quel caffè, per ora, sembra lontano. Lunedì i dissidenti vedranno il capogruppo Luigi Zanda in un incontro chiave per decidere la linea nell'assemblea del gruppo di martedì. Una scelta che, tuttavia, spetta solo ai 14 senatori perché Renzi, la sua strada, l'ha presa e non vuole perderla. Anche per questo è ormai un dato di fatto quel patto costruito nei giorni scorsi con Lega. Un accordo che blinda la proposta del governo sulla riforma del Senato, va incontro al Carroccio sulla battaglia federalista e depaupera il ruolo di Forza Italia. Il Patto del Nazareno resta in piedi ma forse, dopo questo weekend, un incontro con Berlusconi non appare più così urgente. Anche perché, fanno notare alcuni esponenti dem, gli smottamenti del Centro, al Senato, vanno in buona parte a favore della maggioranza di governo.
La controffensiva azzurra, del resto, è già partita. Il Cavaliere annunciava un referendum per l'elezione diretta del presidente della Repubblica, spalleggiato da una petizione popolare analoga annunciata dal leader di Ncd, Angelino Alfano. Mentre Giovanni Toti rivendica il ruolo di FI auspicando un percorso di riforme condiviso e dove Renzi non imponga le proprie idee. Ma è soprattutto sull'Italicum che ormai FI sembra orientato a far la voce grossa. E non a caso Renzi, con prudenza, pone in settembre il termine per la riforma della legge elettorale. Per i dissidenti dem, invece, non c'è spazio e sono loro stessi a esserne consapevoli. "Il gruppo autonomo non è un tema sul tappeto", frena Felice Casson mentre Mineo si limita a un "vado avanti", rispondendo ai cronisti sulle sue prossime mosse. Dal palco dell'assemblea il neopresidente Matteo Orfini si presenta come il volto buono del Matteo rottamatore e chiede di incontrare i 14. Ma a loro ricorda che, pur essendo l'unico proporzionalista del Pd, sull'Italicum ha dovuto sacrificare il suo dissenso sull'altare della maggioranza di partito.
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