Nel 2012 i giovani europei che
non studiavano, non lavoravano né seguivano corsi di formazione,
i cosiddetti "NEET", erano 14,6 milioni, una quota pari al 15,9%
della popolazione nella fascia d'età 15-29 anni. La loro
situazione ha provocato una perdita per l'economia europea di
162 miliardi di euro l'anno, con un incremento di quasi 10
miliardi di euro rispetto al 2011. E la situazione più grave si
registra in Italia. È quanto emerge da uno studio di Eurofound,
la Fondazione europea per il miglioramento delle condizioni di
vita e lavoro, intitolato "Mappatura del passaggio alla vita
adulta in Europa". Secondo il rapporto, il danno economico è
causato da un lato dall'aumento della spesa pubblica legata a
questa inattività e dall'altro dal mancato guadagno che
deriverebbe dall'impiego di questi giovani.
In termini assoluti la perdita più rilevante si è verificata
proprio in Italia, con 35,2 miliardi di euro persi (2,6 miliardi
in più del 2011). Seguono Francia (23,2 miliardi), Regno Unito
(18,7 miliardi) e Spagna (17,3 miliardi). Viceversa la perdita è
diminuita in Austria, Irlanda, Lettonia e Lituania, mentre è
rimasta sostanzialmente stabile in Germania e Svezia.
A livello europeo, gli autori dello studio evidenziano che,
anche se il tasso di disoccupazione giovanile ha cominciato a
calare in alcuni Stati membri, a gennaio 2014 il 23 % dei
giovani in cerca di lavoro tra i 15 e i 24 anni non era ancora
riuscito a trovare un impiego. Sempre secondo lo studio, le
differenze tra i giovani del sud e del nord europea sono dovute
non tanto a preferenze e scelte di vita personali, quanto
all'agevolazione o meno del passaggio dalla scuola al mondo del
lavoro: nei Paesi nei quali questo passaggio è agevolato da
alcune misure, i giovani escono prima di casa. A tal proposito,
sono stati individuati sette modelli comuni tra i vari Stati
membri. A un'estremità dello spettro, i modelli virtuosi
"nordico" e "apprendistato" (Austria e Germania) caratterizzati
da un passaggio più rapido dalla scuola al lavoro e quindi alla
vita adulta. Sul fronte opposto, i modelli "Europa orientale" e
"Mediterraneo", con un passaggio difficile e problematico dalla
scuola al lavoro, associato a una conquista molto lenta e
tardiva dell'indipendenza e dell'autonomia.
Infine l'analisi individua una serie di fattori chiave che
contribuiscono all'efficacia e al miglioramento delle politiche
per l'impiego. Prima di tutto, pur condividendo lo stesso scopo,
queste politiche dovrebbero adottare approcci diversi ed essere
studiate su misura per le esigenze individuali dei giovani; è
indispensabile un coordinamento a 360 gradi di tutti i soggetti
coinvolti nel passaggio scuola-lavoro; è auspicabile un
monitoraggio sistematico dei risultati di simili programmi che
permetta di valutarne il successo; attenzione infine ai fattori
macroeconomici che hanno un'influenza cruciale sul successo
delle stesse politiche per l'impiego, in quanto possono limitare
i finanziamenti a favore dei servizi e della creazione di posti
di lavoro, oltre a inasprire la concorrenza tra le persone in
cerca di lavoro. (ANSA)
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