L'effetto Lupi e l'accelerazione sulla riforma della legge elettorale, fino al pressing degli alfaniani e alla trincea FI sulla giustizia: sui tempi delle riforme del premier Matteo Renzi continua ad incombere un'ombra, quella dei numeri della maggioranza a Palazzo Madama. Numeri in bilico, nonostante il passaggio dei senatori 'civici' nel Pd, e che, come è accaduto oggi sul ddl anticorruzione - il cui voto è slittato a mercoledì prossimo - a volte inducono la stessa maggioranza alla prudenza. Anche perché, se al Senato la 'rottura' del Patto del Nazareno alza, e di molto, il livello di guardia, in commissione Affari Costituzionali l'Italicum, nelle prossime settimane, non troverà certo una platea largamente filo-renziana.
E' al Senato, dove le riforme potrebbero approdare dopo le Regionali ma chiamato, presto, a votare il ddl anticorruzione e quello sulla prescrizione passato ieri alla Camera, che i numeri del governo ballano.
La maggioranza può contare su circa 168 (su 321) senatori sicuri, composti dai 113 del Pd, dai 19 del gruppo Per le Autonomie (che include tuttavia i senatori a vita) e dai 36 di Ap. Le dimissioni di Maurizio Lupi da ministro, i malumori dei centristi con Nunzia de Girolamo che chiede da giorni "un appoggio esterno" al governo rischiano, tuttavia, di produrre qualche smottamento anche al Senato. Ipotesi al momento lontana, ma che potrebbe emergere con prepotenza nel momento in cui la linea di Angelino Alfano fosse giudicata troppo 'soft'. E, in ogni caso, Ap è pronta a far sentire il suo peso su ogni provvedimento che passerà al vaglio dell'Aula.
La 'linea Maginot' della maggioranza può, tuttavia, anche rafforzarsi con elementi di Gal (in 6 hanno votato sì all'Italicum in gennaio ma sull'anticorruzione l'orientamento è pressoché identico a quello di FI) e di qualche ex M5S presente nel Misto.
Senza contare quella pattuglia di 'verdiniani' che, dopo lo strappo dell'accordo Berlusconi-Renzi, potrebbe comunque portare, sulle riforme, una truppa di una decina di senatori in soccorso del premier, magari anche non partecipando al voto.
Renzi, così, basandosi sull'ipotesi più ottimistica, potrebbe contare su circa 180 senatori. Con una postilla, però, e non di poco conto: quei 24 senatori della minoranza Pd che, in gennaio, non votarono sì all'Italicum. Tra qualche settimana, gli stessi saranno chiamati ad esprimersi sul ddl riforme e se la Direzione Pd di lunedì e l'accelerazione di Renzi sull'Italicum renderà lo scontro interno ancora più aperto è difficile che il dissenso Dem a Palazzo Madama rientri.
L'accelerazione di queste ore porterà prestissimo la riforma della legge elettorale a Montecitorio. Prima in commissione, poi in Aula. Nella prima i numeri della maggioranza sono in bilico con la minoranza numericamente determinante. In Assemblea, invece, la maggioranza è ampia e conta almeno su 379 deputati, dando per allineati sulla linea dell'opposizione tutta la componente di FI, dove i 'verdiniani' sono tuttavia 17. Anche qui, però, c'è una postilla: il pressing di Ncd (33 deputati) e quello della sinistra Pd (in 8 sul ddl riforme non hanno partecipato al voto e in 3 si sono astenuti). E la previsione di almeno un paio di voti segreti rende la partita dell'Italicum alla Camera ancora più difficile.
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