Era dai tempi del Jobs Act che una riforma targata Matteo Renzi non aveva un 'consenso' parlamentare così basso alla Camera: 316 furono i sì nel novembre scorso sulla legge delega e 316 sono stati gli ok al ddl scuola. Due riforme con la 'R' maiuscola, che hanno, oltre ad una maggioranza non certo copiosa, altri due comuni denominatori: l'opposizione della minoranza Pd e il successivo approdo al Senato.
Ed è proprio su Palazzo Madama che i riflettori del governo, una volta passato il giro di boa delle Regionali, saranno puntati: perché lì un eventuale passo falso potrebbe costare la tenuta della maggioranza. Alla Camera, infatti, la quota 316 non ha creato alcun grattacapo.
"E' la maggioranza assoluta, per cui diciamo che è andato bene anche il voto sulla scuola", assicura il ministro delle Riforme Maria Elena Boschi pochi minuti dopo il sì al ddl, giunto, tuttavia, con una quota minima che, in vista del Senato, mette più di un brivido al governo.
Alla Camera, infatti, in 40 tra i deputati Pd non hanno votato il testo, tra i quali 28 per scelta politica: otto in meno dei 36 ( erano 38 prima delle uscite di Vaccaro e Civati) dello strappo sulla fiducia sull'Italicum ai quali, però, vanno aggiunti quei deputati che, pur votando il testo, si sono appellati, con una lettera promossa da Roberto Speranza e Gianni Cuperlo, ai colleghi di Palazzo Madama per migliorare la riforma. Ai 28 dissidenti Dem (tra loro Bersani, Speranza, Cuperlo, Stumpo, Zoggia, Fassina e D'Attorre) va inoltre aggiunto il 'non voto' politico della dissidente Ap Nunzia De Girolamo, una dei 7 parlamentari centristi che non hanno partecipato alla votazione. Cinque i non votanti di Sc, che presenta anche un astenuto: Valentina Vezzali. Compatto (a dispetto delle assenze) il fronte del no: da FI a M5S da Sel agli ex Pd Civati e Pastorino, per un totale di 137. La 'forchetta' a Montecitorio resta insomma molto ampia. Ma a Palazzo Madama (soglia minima 161) sarà diverso. La maggioranza può contare su 112 senatori Pd (il presidente non vota per consuetudine), 36 centristi, 19 del gruppo Per le Autonomie, 3-4 esponenti del gruppo Gal (composto da 15 senatori) e una pattuglia di 3-5 senatori del Misto (Della Vedova, Monti oltre alle 'new entry' Bondi e Repetti) per un totale di circa 175 voti rispetto ad un'opposizione che, sulla carta, conta invece su 145 voti. Una defezione della sinistra Pd (24 i firmatari del documento del dissenso' sulle riforme) potrebbe così essere 'fatale', stando ai numeri della maggioranza, per la tenuta della maggioranza. Certo, a giugno, con le Regionali alle spalle, qualche 'aiuto' a Renzi potrebbe giungere da quel gruppo FI destinato certamente a cambiare volto, ma il rebus numeri resta rischioso a cominciare dalla commissione Istruzione dove sono tre (anche qui decisivi) gli esponenti della minoranza Dem (Claudio Martini, Corradino Mineo e Walter Tocci). La battaglia, insomma, inizierà ben prima dell'approdo del testo in Aula. Dove, tuttavia, in caso di fiducia sul ddl al momento sembra difficile uno 'strappo' della minoranza Pd sulla linea di quello, fragoroso, messo in atto sull'Italicum.
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