Di fronte alla minaccia "reale" dell'Isis, "l'Italia si difenderà". Ma la Libia, con i suoi 200mila uomini armati, "non è un teatro facile per esibizioni muscolari". Ci vogliono "fermezza, prudenza e responsabilità" e, per questo, "il governo non si farà trascinare in avventure inutili, e perfino pericolose, per la sicurezza nazionale".
Dopo giorni di indiscrezioni che avevano fatto pensare ad un'accelerazione su un intervento militare a guida italiana in Libia, ieri è stato il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni ad assicurare al Parlamento che 'la guerra', almeno per il momento, non è alle porte.
E' vero che l'Italia sta coordinando con gli alleati la pianificazione di un'eventuale missione militare. Ma - ha ribadito Gentiloni in Aula - questa ci sarà "se e quando" lo chiederà un governo libico legittimo. E, comunque, "nel rispetto della Costituzione, e solo dopo il via libera del parlamento italiano".
Il ministro ha tuttavia invitato a non confondere "la legittima difesa con la stabilità della Libia". "Il contrasto al terrorismo deve basarsi su uno straordinario impegno informativo, quando necessario su azioni circoscritte", ha dichiarato, spiegando il senso del decreto approvato a dicembre che prevede che "in certi casi, operazioni d'intelligence possono richiedere il supporto di unità militari". Nelle stesse ore, in un'audizione al Copasir, Pinotti ha assicurato che non sono presenti in Libia forze speciali militari, e Gentiloni ha garantito che nel caso vi fossero operazioni speciali il parlamento ne verrebbe informato attraverso lo stesso Comitato di controllo dei servizi.
Informativa, però, che secondo il decreto potrebbe avvenire anche 'ex post'.
Il nodo resta intanto quello di un governo libico unitario e legittimo che possa avanzare una richiesta di aiuto al Consiglio di sicurezza Onu. "Per quanto fragile, è la sola base su cui lavorare", ha sottolineato il titolare della Farnesina. Ma è una base che a tutt'oggi ancora non c'è, e che sembra sfumare ogni settimana di più.
La formazione di questo governo "è la priorità, ma il tempo non è infinito", aveva avvertito ieri il premier Matteo Renzi a Venezia con il presidente francese François Hollande.
Dichiarazioni che l'ex capo dello Stato, Giorgio Napolitano, ha definito nell'aula di Palazzo Madama "condivisibili ma criptiche", apprezzando la "prudenza" del governo ma invitando a non inseguire "un pacifismo vecchio stampo che non corrisponde alla realtà".
E' stato poi Gentiloni, nella replica pomeridiana a Montecitorio, a spiegare le parole di Renzi annunciando che l'Italia sta lavorando, insieme all'Onu e agli alleati, ad un piano che consenta di superare l'impasse del parlamento di Tobruk: e cioè permettere alla maggioranza favorevole al premier designato Fayez al Sarraj di esprimersi "nonostante le minacce degli estremisti" per avere "un primo passo di legittimazione".
Una sorta di 'piano B' per sbloccare la situazione e andare avanti, evocata la settimana scorsa a New York anche dall'inviato speciale dell'Onu, Martin Kobler, e sulla quale discuteranno "nei prossimi giorni" a Parigi i ministri degli Esteri di Italia, Francia, Usa, Germania, Gran Bretagna e Ue.
L'informativa del ministro non poteva prescindere dal cordoglio per la tragedia che stanno vivendo in queste ore le famiglie di due dei quattro ostaggi italiani, Salvatore Failla e Fausto Piano, uccisi la settimana scorsa, mentre slitta di ora in ora il rientro delle loro salme da Tripoli. Gentiloni ha quindi fornito una prima ricostruzione degli ultimi drammatici giorni del sequestro, "non riconducibile" all'Isis, ma sul quale restano ancora "punti oscuri". Per i quattro "non era stato pagato alcun riscatto", ha assicurato il ministro, invitando a diffidare dalla propaganda dei sequestratori. In casi come questi, "il Parlamento è chiamato a mostrare il volto di un'Italia coesa lasciandosi alle spalle bagarre e contrapposizioni di parte". Intanto, secondo quanto scrive il settimanale jihadista 'Al-Naba', l'Isis avrebbe nominato un nuovo leader in Libia dopo l'uccisione del predecessore, l'iracheno Abu-al-Maghirah al-Qahtani, in un raid americano. Si tratta di Abdel Qader Al-Najdi, molto probabilmente originario dell'Arabia saudita. In un'intervista rilasciata al giornale, ripresa in parte dal servizio africano della Bbc, Al-Najdi afferma che lo Stato islamico è solo agli inizi in Libia ma sta crescendo sempre più.
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