Il suo metodo lo ha nuovamente ben spiegato il 12 febbraio scorso, durante il volo che lo portava dall'Avana a Città del Messico, subito dopo lo storico incontro nella capitale cubana col patriarca Kirill, primo abbraccio della storia tra un capo della Chiesa di Roma e uno della Chiesa ortodossa russa. "L'unità si fa camminando - ricordò al gruppo dei giornalisti al seguito -. Una volta io ho detto che se l'unità si fa nello studio, studiando la teologia e il resto, forse verrà il Signore e ancora noi staremo facendo l'unità. L'unità si fa camminando, camminando: che almeno il Signore, quando verrà, ci trovi camminando".
Per papa Francesco, nei suoi tre anni di pontificato, questa è stata sempre la priorità e questa è stata sempre la modalità che gli ha permesso di portare a casa risultati che i suoi predecessori hanno soltanto sognato, come appunto l'epocale riavvicinamento col Patriarcato di Mosca e di tutte le Russie.
Prima di tutto l'incontro personale, la manifestazione concreta di vicinanza e di prossimità col gesto dell'abbraccio e della stretta di mano, la conversazione franca e amichevole a tu per tu con l'interlocutore: i segni di un ponte che viene gettato, di una distanza che viene colmata, tutto il resto - le convergenze su carta, le fasi attuative - verrà dopo. Un po' come il generale De Gaulle, e prima di lui Napoleone, secondo cui, una vola assunte le decisioni, "l'intendenza seguirà".
"Io mi sono sentito davanti a un fratello, e anche lui mi ha detto lo stesso - riferì ancora del colloquio con Kirill -. Due vescovi che parlano della situazione delle loro Chiese, per prima cosa; e in secondo luogo, sulla situazione del mondo, delle guerre, guerre che adesso rischiano di non essere tanto 'a pezzi', ma che coinvolgono tutto; e della situazione dell'Ortodossia, del prossimo Sinodo panortodosso...". Meno decisiva dell'incontro e del colloquio personale e fraterno, per Francesco, era invece la dichiarazione congiunta firmata in quell'occasione, su cui già prevedeva critiche e riserve: "ci saranno tante interpretazioni, tante", ventilò, ma quello per lui poco contava. L'importante è che ancora una volta, e con un esito così importante, la "cultura dell'incontro", il suo vero cavallo di battaglia, aveva vinto, aprendo la strada a sviluppi e percorsi che finora si potevano soltanto immaginare. E anche le commissioni teologiche, gli uffici diplomatici, le relazioni interconfessionali dovranno piegarsi alla nuova situazione.
Appunto, "l'intendenza seguirà".
Per Bergoglio funziona così in campo ecumenico (primo Papa in un tempio valdese, primo in una comunità pentecostale, in entrambe le situazioni a chiedere "perdono" per le passate persecuzioni, a novembre andrà in Svezia a celebrare i 500 anni della riforma di Lutero), in campo interreligioso (ha ricucito il doloroso strappo con l'università di Al-Azhar dopo il discorso ratzingeriano di Ratisbona, a breve sarà il primo Papa alla Grande Moschea di Roma, la maggiore dell'Occidente), in campo politico (quest'ultimo anno, oltre al disgelo promosso tra Usa e Cuba e ora anche la pacificazione in Colombia, ha visto i suoi grandi discorsi al Congresso a Washington e all'Onu a New York), in campo sociale dove la sua predicazione riveste sempre più un ruolo profetico, come per la "terza guerra mondiale a pezzi", per l'accento sull'emergenza globale delle migrazioni e contro la "cultura dello scarto", per l'allarme sui mutamenti climatici con la sua enciclica Laudato si', diventata uno dei testi-guida per la politica internazionale, lodata dai grandi del pianeta, come si è visto anche al vertice Onu sul clima a Parigi. Non è esagerato dire che non ci sia attualmente al mondo un leader morale autorevole e credibile al pari di Francesco.
Un Papa che nel suo Anno Santo straordinario ha distillato l'"imprinting" di una Chiesa votata come non mai all'etica esclusiva della misericordia: una Chiesa la cui missione primaria è la vicinanza ai bisognosi, agli esclusi, agli emarginati (è lungo l'elenco delle manifestazioni di vicinanza di papa Bergoglio, dai senzatetto ai carcerati, dai profughi accolti in Vaticano e nelle parrocchie ai malati, specie se bambini, dai disabili ai tossicodipendenti), e che lo stesso atteggiamento di comprensione, accoglienza e dialogo lo manifesta in tutte le questioni che riguardano l'attualità globale, i rapporti tra i popoli, la necessità di porre fine ai conflitti, il riscatto dei sofferenti, il sollievo per chi fugge dalle guerre, dalla fame, dalle privazioni, dalla desertificazione. Proprio come nel messaggio di quel santo il cui mandato questo Papa porta scritto nel nome, Francesco, il santo dei poveri, della pace, della protezione del creato.
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