A quattro giorni dall'assemblea che convocherà il congresso, l'aria dentro il Pd si fa sempre più cupa. Dopo un vertice serale martedì tra Matteo Renzi e Dario Franceschini e i rispettivi fedelissimi, si tenta un'ultima mediazione con la minoranza ma i margini per evitare una scissione appaiono sempre più ridotti al lumicino. Il segretario non ha alcuna intenzione di andare oltre la fine di aprile per fare le primarie e la minoranza, che sabato si compatterà intorno a Emiliano, Speranza e Rossi, non vuole cedere.
"È inspiegabile far parte di un partito che si chiama democratico e aver paura della democrazia", sostiene il leader dem che ieri ha fatto un blitz in un circolo di Milano come assaggio della campagna congressuale. Il caos è tale nel Pd che anche dentro le stesse correnti le versioni della situazione divergono. Ieri, dopo una discussione accesa, i giovani turchi, divisi tra Andrea Orlando e Matteo Orfini, hanno trovato una mediazione proponendo un "confronto programmatico" nella fase di avvio congressuale. Un'unità in realtà di facciata, osservano in molti, visto che Orfini non ha alcuna intenzione di prendere una via diversa da quella del segretario. Mentre, sostengono fonti della minoranza, Orlando avrebbe lasciato capire che potrebbe candidarsi al congresso contro Renzi se tutta la minoranza lo appoggiasse. "Noi siamo uniti, bisogna però capire se proseguire questo percorso dentro o fuori il Pd dopo che la direzione ha sancito la trasformazione del Pd in partito di Renzi", è l'onesta ammissione di Michele Emiliano che ieri ha fatto la sua "prima" in Transatlantico. Il governatore pugliese, insieme agli altri due candidati Roberto Speranza e Enrico Rossi, suggelleranno l'intesa sabato con un'iniziativa a Roma.
"Una prova di forza, con centinaia di pullman e maxi-schermi fuori dal teatro Vittoria", dicono gli organizzatori, convinti che la prova di forza avrà effetto sulla maggioranza del partito in vista dell'assemblea di domenica. Dove, chiariscono sia Emiliano sia Bersani, la minoranza comunque ci sarà. Dal canto suo, il suo primo test congressuale Renzi l'ha fatto a Milano, dove, raccontano i suoi, "facendo una passeggiata tra gli iscritti la gente gli gridava di non mollare". E l'impressione è che, al netto dei tentativi di mediazione di Lorenzo Guerini e Dario Franceschini, che ieri hanno avuto contatti con Bersani e con Emiliano, l'ex premier voglia tirare dritto. La richiesta della minoranza di scavallare le amministrative per chiudere il congresso a fine giugno-metà luglio è stata respinta al mittente.
"Il congresso - ragionano i renziani - era già previsto dopo le amministrative. Emiliano ha fatto la raccolta di firme per anticiparlo e ora vogliono le dimissioni di Renzi per non fare il congresso?". Come segnale di apertura, l'ex premier avrebbe chiarito a tutti, anche nella riunione di martedì sera, che le elezioni a giugno con il congresso saltano. Ma sui tempi non si tratta: se l'assemblea suona il gong domenica, le primarie saranno il 9 aprile, "maggio - rincarano dal vertice Pd - non esiste" visto che si sarà in campagna per le amministrative. Se qualcuno non farà un passo indietro, la scissione sembra dunque alle porte. "E' assolutamente necessario avviare una fase costituente almeno delle forze del centrosinistra. Come ogni nuovo inizio non può che ripartire dalla riscoperta dei valori fondanti", dice Massimo D'Alema cominciando a far suonare i tamburi. L'ex premier, pur negando la scissione, invita "ad avere il coraggio di mettersi in cammino".
Le stesse parole, pur con obiettivi che ormai sembrano lontanissimi, usate da Renzi per lanciare l'avvio della campagna congressuale dal 10 al 12 marzo al Lingotto: "E' tempo di rimettersi in cammino, il verbo del congresso e delle primarie non è 'andatevene!' ma 'venite!'".
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