Il Cavaliere è tornato. E si vede. Proprio con la mossa del cavallo Silvio Berlusconi rientra in scena, di lato ma quanto basta per bloccare le prove tecniche di accordo dei due "giovanotti" vincitori delle elezioni del quattro marzo. E il Pd che fiuta odore di sangue, quello che potrebbe scorrere da un impatto devastante tra Luigi Di Maio e Matteo Salvini, si butta nella mischia cercando di insinuarsi nelle crepe che si stanno aprendo tra M5s e Lega.
Per questo per la prima volta i Dem dicono no, almeno pubblicamente, a Paolo Romani per la presidenza del Senato e si sfilano in una sorta di astensione annunciata alle prime votazioni di domani. Tutto azzerato, quindi. Si deve ricominciare a tessere e i Dem - peraltro loro stessi in gravissima crisi d'identità - si consolano almeno un po' spiegando che Salvini e Di Maio hanno "sbagliato metodo". E adesso si concentrano su quanto possibile per loro, cioè le vicepresidenze di Camera e Senato.
Si comincerà così a votare "al buio", senza un accordo di massima, senza consensi sui nomi e soprattutto senza nulla che possa al momento far intravvedere al Quirinale una maggioranza di Governo. Si deve ripartire e non sembra proprio di essere entrati nella "terza repubblica" evocata da Di Maio: a Montecitorio i neodeputati girano intimiditi, chiedono lumi ai più esperti e dai capannelli delle matricole si percepisce lo smarrimento.
Incontri convocati e poi disdetti, riunioni di capigruppo alle quali neanche si sa chi parteciperà e sotto tutto, come nella prima repubblica, un mare di telefonate e di contatti tra i "pontieri" e i leader. Ma Berlusconi non molla la presa e tiene duro su Paolo Romani, per ora c'e' solo il suo nome: inviso ai Cinque stelle.
Ma è soprattutto il Cavaliere ad essere temuto dal Movimento, quasi che un incontro diretto tra l'ex premier e Di Maio possa rappresentare alla base una contaminazione della purezza grillina. Berlusconi però c'è e tutti in queste ore ci devono fare i conti. A partire da Matteo Salvini che è stato costretto a confermare che bisogna ricominciare. E che bisogna parlare con tutti. Non sembra più una questione di nomi, di pre-tattica o dell'orgoglio che spinge il Cavaliere a tenere duro su Romani. Forse è una questione di "metodo", come suggeriscono i Dem. Chissà se in questa fase basterebbe semplicemente cambiare le pedine? Via Paolo Romani e dentro Anna Maria Bernini per il Senato? Via Roberto Fico e dentro Riccardo Fraccaro per la Camera? Forse i problemi sono più profondi.