Un afoso sabato di esodo, con le foto e le immagini delle code in autostrada pronte, come da 'copione' del periodo, per diventare l'argomento del giorno di quotidiani e tg. Alle 10.25 del 2 agosto 1980, invece, un'esplosione alla stazione centrale di Bologna spezza nel sangue la tranquilla routine del rito delle vacanze: 85 morti e 200 feriti il bilancio finale della strage più sanguinaria nella storia italiana.
I PRIMI APPUNTI DEL CRONISTA DELL'ANSA SUL POSTO
Il boato squarcia l'ala sinistra dell'edificio su piazza Medaglie d'Oro: la sala d'aspetto di seconda classe, il ristorante, gli uffici del primo piano vengono disintegrati. Anche il treno Adria Express 13534 Ancona-Basilea, fermo sul primo binario e in ritardo di un'ora sulla tabella di marcia, è colpito dalla valanga di macerie e detriti che in pochi istanti schiacciano e soffocano inermi viaggiatori di ogni età e provenienza. Nel ristorante-bar-self service perdono la vita sei lavoratrici, tra le vittime anche due tassisti in attesa di clienti. Ovunque lacrime, urla straziate, polvere che entra in gola e soffoca il piano disperato di passeggeri sotto choc che cercano di individuare amici e parenti. La vittima più piccola è Angela Fresu, appena 3 anni, e poi Luca Mauri, di 6, Sonia Burri, di 7, fino a Maria Idria Avati, ottantenne, e ad Antonio Montanari, 86 anni.
In pochi minuti arrivano decine di mezzi dei vigili del fuoco, polizia, carabinieri, vigili urbani, ambulanze, l'Esercito. Saltano le linee telefoniche e i primi cronisti giunti sul posto, per poter raccontare l'inferno di quei momenti, 'espropriano' la cabina dei controllori degli autobus sul piazzale, dove il telefono invece funziona. Cellulari e internet non esistono ancora. Anche il contributo degli autisti si fa determinante, quando di lì a poco un bus giallo e rosso della linea 37, la vettura 4030, nell'emergenza si trasforma in un improvvisato carro funebre per trasportare le salme alla Medicina legale, nella vicina via Irnerio. Alla guida si mette l'imolese Agide Melloni, autista trentunenne: "Mi chiesero di portare via i cadaveri con il bus. Dal mattino alle tre di notte, con i lenzuoli bianchi appesi ai finestrini. In ogni viaggio c'era con me qualche soccorritore, per sostenermi". Le ambulanze servono invece per i vivi, distribuiti in tutti gli ospedali, dove rientrano in servizio medici e infermieri.
Le prime ipotesi investigative prendono in considerazione lo scoppio di una caldaia, ma nel punto dell'esplosione non ce ne sono. Lo si capisce presto, mentre i lavori di scavo procedono a rilento perché si continuano a cercare persone vive tra le macerie. In poco tempo, accantonata l'improbabile fuga di gas, la causa della strage si fa drammaticamente chiara: una bomba ad alto potenziale. In stazione arriva, commosso e angosciato, il presidente della Repubblica Sandro Pertini, mentre tutt'intorno una catena umana continua a spostare detriti e il silenzio irreale del centro città è squarciato dalle sirene.
La sera piazza Maggiore si riempie: Bologna, attonita e sgomenta, non chiede vendetta ma giustizia, mentre il ricordo torna a un'altra strage, quella dell'Italicus, la notte del 4 agosto di sei anni prima a San Benedetto Val di Sambro, sull'Appennino, con 12 morti e 44 feriti. "La stessa città, lo stesso nodo ferroviario, gli stessi giorni delle vacanze, forse lo stesso proposito - commenterà il giorno dei funerali il sindaco Renato Zangheri - di recitare il crimine anche sul corpo di viaggiatori stranieri, e quindi di dimostrare ad altri popoli e governi la debolezza della nostra democrazia". Intanto in quelle stesse ore, all'obitorio, un maresciallo continua a tentare di dare un nome alle vittime: un'identità più volte affidata a brandelli di indumenti, un anello, i resti di una catenina o un documento. Trentanove anni dopo i familiari delle vittime e Bologna chiedono ancora di conoscere tutta la verità sulla strage e sui suoi mandanti.
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