Il rimpasto "tecnico" e quello, meno probabile e non certo immediato, ministeriale, come puntello alla grande stagione delle Europee. Per Luigi Di Maio e Matteo Salvini, alle ore 17 del penultimo giorno dell'anno, è iniziata la fase "2". Archiviata con l'ok pomeridiano della Camera la manovra degli affanni, delle tensioni, perfino dei rischi sulla tenuta dell'alleanza, i due vicepremier guardano ai primi battiti del 2019 puntando alle loro misure simbolo e provando ad accrescere ciascuno la loro influenza sull'altro. In questo quadro l'idea del rimpasto di governo, al momento, resta fantapolitica. Fonti di Palazzo Chigi tornano ad escluderla con nettezza seguite in serata da Salvini mentre Di Maio assicura: "se domani rifacessi il governo presenterei la stessa squadra".
Le voci di "aggiustamenti", nel Movimento, tuttavia continuano a rincorrersi, alimentate dal malcontento di alcuni membri di governo e dall'arrivo di Alessandro Di Battista. Ma nulla, nel breve periodo, si muoverà. Intaccare il puzzle di governo, per Di Maio, rischierebbe di aprire le porte alle mire di una Lega in costante ascesa, soprattutto su ministeri chiave come quello delle Infrastrutture. Certo, nei corridoi parlamentari più di un pentastellato indica il ministero della Difesa e soprattutto quello della Cultura come possibili "caselle" di un rimpasto: dicasteri occupati da tecnici (Elisabetta Trenta e Alberto Bonisoli), lontani dall'inner circle M5S. In questo contesto, come "attori" del rimpasto, circolano i nomi di chi ha concluso il 2018 con un borsino positivo agli occhi dei vertici: i capigruppo Ciccio D'Uva o Stefano Patuanelli o il ministro Riccardo Fraccaro. Non dovrebbe entrare nell'esecutivo il frontman Di Battista.
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