Reso più forte dall'appoggio internazionale, Juan Guaidò - il presidente del Parlamento di Caracas che ha assunto i poteri dell'Esecutivo - ha alzato il tiro oggi nella sua sfida contro Nicolas Maduro annunciando che prende il controllo dei fondi della petrolifera statale Pdvsa negli Usa, chiudendo così il rubinetto dal quale proviene più del 70% dei fondi di cui dispone il governo del Venezuela. Tutto si è consumato nel giro di un'ora: il dipartimento del Tesoro americano ha annunciato il blocco di tutti i conti e gli asset della Pdvsa e della sua filiale Citgo, negli Usa, e in parallelo Guaidò ha informato da Caracas di aver dato inizio ad una "presa di controllo progressiva ed ordinata" dei beni che lo Stato venezuelano possiede all'estero. Tanto Guaidò quanto il segretario del Tesoro Usa, Steven Mnuchin, hanno giustificato questa azione per lo stesso motivo. Mnuchin ha detto che servirà "per prevenire maggiori malversazioni dei fondi venezuelani da parte di Maduro" e il "presidente incaricato" ha indicato che "è necessario impedire che nella sua fase di uscita, non contento di aver rubato tutto quello che hanno rubato, l'usurpatore e la sua banda non decidano di raschiare il fondo del barile". Il Venezuela è attualmente, insieme a Canada ed Arabia Saudita, il principale fornitore di greggio degli Usa, dal quale importa anche prodotti per raffinare il proprio petrolio. Secondo fonti del settore, il blocco di Pdvsa negli Usa rappresenta circa 7 miliardi di dollari in asset e 11 miliardi di dollari in ricavi dell'esportazione. L'iniziativa del governo Trump era stata anticipata dal senatore repubblicano Marco Rubio poche ore prima. Interrogato dal quotidiano El Nacional sul peso che poteva avere questa decisione, Tom Hardy -ex dirigente Pdvsa ed analista del settore - ha indicato che "il 96% di tutti i dollari che entrano in Venezuela proviene dal petrolio, e la grande maggioranza di questi ricavi viene dalle esportazioni verso gli Usa. Si esporta anche verso Cina e Russia, ma questo serve per pagare il debito estero: di quelle vendite a noi non resta niente". Il blocco della Pdvsa negli Usa avviene, inoltre, mentre Guaidò ha scritto al governo di Theresa May e al governatore della Banca di Inghilterra, Mark Carney, per bloccare il rimpatrio di circa 31 tonnellate di oro che il governo di Nicolas Maduro aveva depositato nella banca centrale di Londra.
Sarà di nuovo la piazza questa settimana il termometro della crisi in cui è immerso il Venezuela nel duro confronto in corso fra il presidente Nicolás Maduro ed il leader dell'opposizione Juan Guaidó che, a nome dell'Assemblea nazionale, ha avviato un progetto di transizione politica, con il sostegno di Stati Uniti e Unione europea. Dopo il successo dell'appello lanciato per le manifestazioni del 23 gennaio contro "l'usurpazione del potere" da parte di Maduro, Guaidó è tornato a rivolgersi ai venezuelani via Twitter chiedendo loro di manifestarsi di nuovo mercoledì e sabato. Nel primo appuntamento ha chiesto ai suoi sostenitori di uscire da case e uffici per una manifestazione pacifica di due ore. Per il secondo, invece, ha annunciato dimostrazioni di massa "in ogni angolo del Venezuela", e ovunque nel mondo. Sabato fra l'altro è il giorno in cui scade l'ultimatum fissato da Macron, Merkel e Sanchez al governo venezuelano per l'annuncio di nuove elezioni presidenziali, senza il quale diverrebbe ufficiale un riconoscimento dell'autorità di Guaidó. Un gesto forte, ovviamente respinto da Maduro e dai suoi alleati, primo fra tutti la Russia, che il giovane leader oppositore ha apprezzato. In un'intervista ha assicurato che "esso ci aiuta moltissimo a difendere la democrazia in ogni momento. In Venezuela pensavamo che la democrazia fosse un fatto acquisito e l'abbiamo perduta. Viviamo in una dittatura che ha rotto con l'ordine costituzionale". Riguardo agli otto giorni concessi per l'annuncio di nuove elezioni, Guaidó ha risposto che "la cosa più importante è realizzare le condizioni che permettono di organizzare elezioni vere, libere e democratiche", e che "questo richiede del tempo". Da parte sua il governo ha confermato una disponibilità al dialogo ed il ministro degli Esteri, Jorge Arreaza, ha rivelato in una conferenza stampa oggi che "vi sono stati contatti continui con l'opposizione e anche con gli Stati Uniti attraverso i loro diplomatici ancora a Caracas". E a fugare ogni possibile equivoco sulla fedeltà delle Forze armate al presidente Maduro, il ministro della Difesa, Vladimir Padrino Lopez, ha ribadito che "la Patria può contare sulla sua Forza armata con tutto quello che essa rappresenta come pariottismo e principi repubblicani". Lasciando Panama dopo la sua visita pastorale, intanto, papa Francesco, dopo aver espresso il timore di "uno spargimento di sangue", ha chiesto per il Venezuela una "soluzione giusta e pacifica". E ha aggiunto: "Chiedo di essere grandi a coloro che possono aiutare a risolvere il problema. Devo essere un pastore - ha concluso - e se hanno bisogno di aiuto, che si mettano d'accordo e lo chiedano". Il pontefice si rende conto che la tensione non è solo politica, ma anche sociale ed economica. L'ong Provea, infatti, ha aggiornato a 35 le persone morte nelle proteste degli ultimi giorni, mentre Alfredo Romero, direttore del Foro Penale, entità che assiste i 'prigionieri politici', ha assicurato che essi sono quasi mille, di cui 850 frutto degli arresti dell'ultima settimana. Inoltre uno studio dell'Università centrale di Caracas, pubblicato sulla rivista britannica Lancet Public Health, ha rivelato che in Venezuela è tornata a crescere la mortalità infantile con il ritorno di malattie infettive che si ritenevano debellate come il morbillo e la difterite. Nella sua conferenza stampa Arreaza non ha negato l'esistenza di una crisi economica, addossandone però la colpa alle "sanzioni generali imposte dagli Stati Uniti che dal 2017 sono costate oltre 23 miliardi di dollari di minori introiti". Denaro, ha ricordato, che avrebbe permesso di finanziare "l'acquisto di medicine, generi alimentari, materie prime per la produzione, progetti infrastrutturali e rispetto degli impegni finanziari internazionali".
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