Non solo la mafia, ma anche una rete di ostacoli e sbarramenti legali rappresentano una minaccia per la libertà di stampa e per i giornalisti impegnati su tematiche delicate o controverse. È uno degli aspetti di uno stato di fatto sul quale l'osservatorio "Ossigeno per l'informazione" ha chiamato a riflettere in un convegno a Montecitorio, in occasione della pubblicazione del rapporto "Molta mafia, poche notizie" sulle difficoltà del sistema dei media.
Le intimidazioni più pesanti passano attraverso le "querele temerarie", il più delle volte infondate ma utilizzate come arma per far desistere i giornalisti. Lo ha messo in rilievo l'avvocato penalista Andrea di Pietro, consulente di Ossigeno, riferendosi anche al "progressivo dileguarsi degli editori" e alla compressione dei diritti sindacali e contributivi. "La minaccia peggiore è stata introdotta proprio dal legislatore con il rischio carcere per i giornalisti" ha osservato, precisando che la norma è ora alla Corte Costituzionale per iniziativa di un giudice del tribunale di Salerno.
Per Lazzaro Pappagallo, segretario di Stampa Romana, "lo Stato deve occuparsi di editoria senza farne decidere al mercato cosa va pubblicato o no". Il punto vero, secondo il direttore generale della Fieg Fabrizio Carotti, è il "bilanciamento tra il diritto ad una informazione di qualità e ad essere correttamente informati" tenendo presente la necessità di un intervento pubblico "perché il mercato non garantisce il pluralismo". L'ex presidente del Senato Pietro Grasso ha criticato l'insensibilità della politica: "Dire che non bisogna parlare di mafia ha fatto passare l'idea che non interessi". Nel ricordare i 3721 casi di intimidazioni a giornalisti e che "la democrazia ha bisogno di penne libere", Grasso ha definito le querele temerarie "non meno pericolose delle minacce di morte".
Di intimidazioni reali subite hanno parlato due giornaliste. L'inviata del Tg1 Maria Grazia Mazzola ha ricordato quando lo scorso febbraio una boss a Bari l'ha colpita con un pugno e minacciata pesantemente. Per le sue inchieste in Slovacchia e a Malta dove sono stati uccisi i colleghi Jan Kuciak e Anne Daphne Vella, ha ricevuto "brutte minacce ma vi garantisco: non mi fermerò". Marilù Mastrogiovanni ha detto che "le mafie italiane si sono trasferite all'estero e comunicano tra loro", ma a preoccupare è che "non si percepisce più la differenza tra la mafia e lo Stato. Ai clan ci si rivolge per trovare lavoro o risolvere problemi".
Anche lei è stata bersaglio di pressioni e minacce sotto varie forme, dagli interrogatori alle inserzioni pubblicitarie istituzionali revocate per suoi articoli sulla criminalità in Puglia. "Noi - ha ribadito con orgoglio - vogliamo difendere i fatti".
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