Pietro Tatarella, l'ex consigliere
comunale milanese ed ex vicecoordinatore lombardo di FI, finito
in carcere nel maxi blitz del 7 maggio della Dda di Milano su un
giro di tangenti, appalti, nomine pilotate e finanziamenti
illeciti, "non è stato corrotto" dall'imprenditore della
Ecol-service Daniele D'Alfonso e, se i pm vogliono ipotizzare
che abbia preso soldi per facilitarlo negli appalti Amsa
(l'azienda milanese dei rifiuti), al massimo si può contestare
un "traffico di influenze illecite" che non giustifica, da
codice, la custodia cautelare in carcere.
E' quanto ha sostenuto, in sostanza, la difesa del politico
azzurro nell'udienza davanti al Riesame (a porte chiuse) a cui
era presente lo stesso Tatarella. "Abbiamo chiesto la
scarcerazione e in subordine gli arresti domiciliari", ha
spiegato l'avvocato Nadia Alecci che lo difende assieme al
collega Luigi Giuliano. "Il carcere è durissimo per tutti,
speriamo almeno nei domiciliari", ha concluso il legale. I
giudici decideranno nei prossimi giorni.
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