Si dice che i più bravi scopritori di insediamenti e reperti siano i tombaroli. Gente che da decenni, alcuni da generazioni, conosce il territorio e le leggende (che spesso hanno un fondo di verità) e meglio di chiunque altro. Ma questa volta i ladri di tesori sono rimasti con le pive nel sacco, e sono stati gli archeologi a mettere invece a segno un colpo storico nelle cronache dei ritrovamenti etruschi. E accaduto a Vulci, nell’Alto Lazio, luogo dell’ultima importante scoperta nel Belpaese. In località Poggio Mengarelli, infatti, l'intervento tempestivo della Soprintendenza assieme all'ente Parco di Vulci ha permesso di salvare una tomba dall'assalto degli scavatori clandestini. Una sepoltura che, da allora, non smette di sorprendere e che ha permesso di trovare un piccolo tesoro appartenente a una principessa bambina.
I tombaroli sono arrivati di notte nel parco ma sono stati disturbati ed è così giunto fino a noi il corredo di una inumazione intatta, datata all'Orientalizzante Antico (fine VIII - inizi VII sec. a.C.), il periodo più antico dell’Etruria, ancora nella fase di passaggio tra la civiltà Villanoviana, da cui deriva, e quella dei Rasenna, o Rasna, come si facevano chiamare questi progenitori degli italiani. "Possiamo dire che i primi etruschi sono stati sepolti qui", ha commentato lapidariamente Carlo Casi, archeologo e direttore scientifico del Parco di Vulci.
Allora, pur agli albori di quella società, Vulci era già un insediamento importante, una delle cosiddette ‘megalopoli’ etrusche. Un’area molto estesa, si calcola di oltre 100 ettari, su cui vivevano e prosperavano molte migliaia di abitanti, con una cittadella, un emporio, un porto. L’eccezionalità di Vulci, rispetto agli altri luoghi della civiltà etrusca, è rappresentata dal fatto che su quel centinaio di ettari non è più stato costruito nulla, in tempi recenti. Quindi quello che può emergere dal sottosuolo è quindi davvero intatto. "Con la 'Grande campagna di scavi vulcenti' che partirà in aprile - riprende Alfonsina Russo - si aprirà una nuova pagina dell'archeologia etrusca, considerando che i ritrovamenti vulcenti sono tra i più ricchi del patrimonio di quella civiltà".
Lo scorso febbraio, a due metri di profondità, i nostri ‘Indiana Jones’ hanno trovato in una cosiddetta “sepoltura a cassetta”, di forma quadrangolare, nella terra, un sarcofago contenente una fanciulla seppellita con il suo superbo corredo funebre: gioielli che presumibilmente gli erano stati regalati alla nascita, e poi nella sua breve vita (13-14 anni) servivano a testimoniarne l’alto lignaggio nell’aldilà. Dalla polvere e dalla terra sono emersi lentamente una collana in ambra, alcune fibule e un meraviglioso scarabeo dorato. "Lo scarabeo, databile tra il decimo e l'ottavo secolo a.C., aveva certamente una funzione scaramantica, così come l'ambra, che per il suo colore dorato richiamava il sole e il rito di Fetonte”, ha dichiarato la Soprintendente per i beni archeologici dell'Etruria Meridionale, Alfonsina Russo. Il corredo tombale, al momento sotto analisi presso il laboratorio della Fondazione Vulci a Montalto di Castro (Viterbo), verrà esposto nel museo del Parco di Vulci in occasione della cerimonia di riapertura dello stesso.
Spiega Carlo Casi: "Il numero degli oggetti e la squisita fattura del corredo, la ricercatezza dello stile, come anche la lontananza della provenienza, fanno ipotizzare che la giovinetta defunta potesse essere una principessa". E’ ovviamente ancora un’ipotesi, ma ormai è quasi certo. Il mistero della giovane di cui è stata trovata la sepoltura infatti – ossa combuste di una pira funebre, avvolti in un telo prezioso – è legato a una prematuramente scomparsa “principessa etrusca”, che nel gergo degli storici non individua una figlia di re ma un’appartenente a una famiglia aristocratica, quindi a una delle prime famiglie d’alto lignaggio che poi hanno costituito il baluardo della nascente società etrusca! Questo straordinario popolo, che ha lasciato scarse fonti scritte, ma uno straordinario alone di leggenda, e che poi è stato assorbito dal travolgente Impero romano, aveva una società davvero complessa e avanzata. Nella quale, peraltro, il ruolo della donna era tutt’altro che marginale e parecchio avanzato per l’epoca.
“All'interno della tomba sono stati rinvenuti i resti ossei di un ragazza e il suo corredo funebre – precisa ancora l’archeologo - composto da oggetti straordinari tra i quali due fibule, una in bronzo e ambra, l'altra in oro, e una collana in ambra la cui legatura è in rame. Tra i reperti recuperati anche alcune tazze con lamelle in argento a forma di croce incollate su fondo con del mastice e una stupenda e rara tazza baccellata”. Per lavorare al meglio, i tecnici hanno letteralmente 'teletrasportato' la zolla di terra in cui si trovava lo scheletro e il suo corredo traslando il tutto in laboratorio. E dal micro scavo in laboratorio i tecnici hanno rinvenuto un altro scarabeo di fattura egizia, il secondo dopo quello affiorato dal terreno direttamente dalla terra infiltrata nei secoli: l'amuleto, bellissimo, proveniente dall’Egitto, raffigura un leopardo, una palma e un sole.
"Vulci è questa - affermano gli archeologi - ogni volta ci regala straordinari gioielli che mettono in risalto un'area molto ricca". Insomma, per decenni i tombaroli hanno anticipato le mosse dell’archeologia ufficiale, asportando e talvolta rovinando in modo irreversibile siti e oggetti. Altri danni sono stati compiuti, talvolta, da una dissennata gestione dei beni, che ancora oggi si accumulano nei sotterranei dei musei e delle soprintendenze senza l’ombra di studi non solo approfonditi, ma nemmeno superficiali e la cui fruizione è totalmente negata alla gente. Qui, a Vulci, gli archeologi stanno dando invece prova di lungimiranza e capacità concrete, non solo sul fronte scientifico e tecnico, ma anche gestionale. Un esempio, unito allo splendore dei ritrovamenti, che dovrebbe indurre a proseguire, a scavare, a studiare, ad allocare risorse in quella che potrebbe diventare a breve una sorta di necropoli regale della prima Etruria, un pezzo di storia alla base, per così dire, delle nostre stesse radici. La sepoltura, nominata dalla soprintendente Russo ‘La tomba dello scarabeo dorato’, insieme alle due recenti tombe ‘delle mani d’argento’ e ‘della sfinge’ (le cui mostre sono già state all’estero) confluirà nel nuovo allestimento che caratterizzerà il Parco archeologico di Vulci e che sarà accessibile al pubblico, appunto, in primavera, con apertura prevista il 27 maggio. In quella occasione nel museo nazionale di Vulci sarà possibile ammirare il sarcofago della principessa, trovato spezzato, restaurato e posto insieme non solo al corredo funebre ma anche alle ossa che vi riposavano all’interno. Una cosa è certa: a Vulci sta succedendo qualcosa di eccezionale. La zona del parco vicina all’area cosiddetta dell’Osteria sta infatti riservando continue sorprese, e non è affatto detto che altri ritrovamenti non possano a breve scuotere ulteriormente il panorama archeologico. Non è un caso che proprio in questo luogo dal prossimo 4 aprile partirà un progetto di scavo ad ampio raggio con il contributo di storici ed enti italiani ed esteri, che potrebbe durare anni e segnare una svolta nell’archeologia etrusca.
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