Spesso si sente dire che in Italia la financial literacy (alla lettera alfabetizzazione finanziaria) si attesta a livelli molto bassi, quasi da Paese emergente.
Magra consolazione è rappresentata dalla rilevazione che essa diminuisce con l’aumentare dell’età, dato questo che tuttavia fa ben sperare riguardo le generazioni future.
Ma che significa in Italia provare a rendere questo tipo di conoscenze accessibile a tutti e, soprattutto, perché è davvero così importante? Per capirlo occorre guardare al tipo di decisioni cui ci troviamo di fronte ogni giorno, le quali possono il più delle volte essere inquadrate in un approccio economico: l’organizzazione delle proprie risorse monetarie (tipicamente quanto e come spendere ogni mese) sta infatti alla base della vita di qualsiasi individuo o nucleo familiare. Lo sa bene il Nobel per l’economia Richard Thaler, che nel suo ultimo best seller (“Misbehaving: The Making of Behavioral Economics”) prova a sfatare il mito secondo cui se la posta in gioco è alta le decisioni sono immuni da pregiudizi irrazionali; con un libro alla portata di tutti, Thaler mostra che la probabilità di comportarsi irrazionalmente mentre si sceglie che cosa mangiare per cena non è poi così maggiore della probabilità di commettere simili errori mentre si decide per quale piano pensionistico optare.
Ecco quindi che la financial literacy è importante non tanto per prendere una decisione migliore quando si è chiamati a votare (visto che non si può pensare che esista in tal caso un voto corretto in senso assoluto ed oggettivo), quanto invece per evitare che il proprio denaro fluisca verso chi beneficia dell’ignoranza finanziaria altrui, come sottolinea Robert Kiyosaki, uomo d’affari statunitense. Si badi però che, vista la complessità della materia, non si può aspirare ad essere immuni da ogni sbaglio; ciò che si può fare facilmente è evitare di incappare in errori grossolani, un po’ come uscire di casa con un calzino diverso dall’altro o, tornando sul tema, investire in obbligazioni bancarie che offrono tassi di interesse pari o inferiori ai titoli di stato di analoga durata, meno rischiosi per definizione.
Quali sono allora le resistenze che impediscono nel nostro Paese di far sì che pochi concetti economico-finanziari siano accessibili a tutti? La verità è che a volte si ha l’impressione che lo spettro della disinformazione e delle tanto temute fake news remi contro i pochi media che si dedicano a questa essenziale missione. Un esempio inequivocabile di polemiche sterili che finiscono con l’affossare iniziative brillanti ed encomiabili è quello della querelle recentemente sviluppatasi a seguito della pubblicazione sul Corriere di un articolo di Milena Gabanelli che si proponeva di spiegare, con la semplicità e fruibilità giornalistica di un quotidiano, una proposta di riforma dell’eurozona finalizzata a consolidarne la stabilità frutto di un’idea di alcuni autorevoli economisti; avanzata da ben 50 accademici, l’irrispettosa pretesa di costringere il Corriere a pubblicare una smentita delle presunte gravi imprecisioni contenute nell’articolo ha infatti sortito l’effetto opposto, sviare l’attenzione dalla cosa più importante: i contenuti.
Questo ci insegna che, finché gli esperti non accetteranno che per rendere fruibile ai più un concetto occorre rinunciare a toni scientifici da lectio magistralis, probabilmente il problema italiano dell’educazione finanziaria permarrà.
- CHI E' L'AUTORE -
Filippo Bartoli*, studente, 22 anni da compiere a Dicembre; dopo il diploma di liceo classico conseguito col massimo dei voti ha ottenuto con lode ed encomio la laurea triennale in Banca, Finanza e Mercati Finanziari presso il Dipartimento di Economia e Management dell’Università di Pisa e si appresta ad iscriversi per il prossimo anno accademico ad un corso di laurea magistrale in finanza quantitativa; per ampliare le proprie vedute ha trascorso 9 mesi in Erasmus presso la Business School di Durham, nel nord dell’Inghilterra; appassionato di scrittura e giornalismo.
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