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A 20 anni dalla Legge Bosman: un gol che ha cambiato calcio

A 20 anni dalla Legge Bosman: un gol che ha cambiato calcio

Tommasi: "Un passo in avanti, ora più diritti e Champions per tutti"

11 dicembre 2015, 10:28

Redazione ANSA

ANSACheck

Il 15 dicembre 1995 è una data che ha cambiato il calcio: quel giorno è entrata in vigore la Legge Bosman che ha riscritto le regole, liberalizzando la compravendita dei giocatori a fine contratto. Quel provvedimento è frutto della sentenza sulla libera circolazione dei lavoratori emessa dalla Corte di Giustizia Ue. Prima di allora ogni giocatore a fine contratto doveva ottenere il permesso del suo club per potersi trasferire e per la società che vendeva c'era un indennizzo calcolato in base allo stipendio lordo del calciatore nell'ultimo anno moltiplicato per un coefficiente che variava in base all'età del giocatore.

L'INTERVISTA A BOSMAN

All'epoca, il numero dei calciatori stranieri, anche comunitari, era limitato dalle norme delle varie federazioni nazionali (in genere a 2 o a 3), eccetto l'Inghilterra che assimilava i giocatori britannici. Nella fattispecie, Bosman contestò di fronte alla Corte di Giustizia europea il mancato trasferimento al Dunkerque, squadra francese di seconda divisione francese nonostante il suo contratto con il RFC Liegi fosse scaduto e questo perché il club belga aveva ritenuto insufficiente la proposta da parte transalpina. Dopo cinque anni di battaglie legali i giudici gli dettero ragione e così da quel 15 dicembre 1995 ogni giocatore a fine contratto può trasferirsi a un altro club senza indennizzo. Non solo, a sei mesi dalla scadenza del contratto, un calciatore può già firmare un preaccordo con un altro club. Il calciatore è stato insomma considerato alla stregua di un qualsiasi lavoratore e circolare liberamente in tutta l'Europa, senza restrizioni relative alla nazionalità.

Di conseguenza, anche le Federazioni non possono più limitare il tetto di giocatori stranieri comunitari in campo.
"Ma io credo che le cose sono migliorate per tutti, giocatori e club - è il punto di vista di Damiano Tommasi, oggi presidente dell'Aic - Si è solo aperto un mercato che prima era limitato e che ha permesso anche a tanti ragazzi italiani di andare a fare esperienza all'estero e di giocare le Coppe". "La Bosman - spiega Tommasi all'Ansa - ha solo aperto la strada al parametro zero, ma l'aumento del numero degli stranieri non va letto solo in modo penalizzante. Ci sono stati casi, parlo ad esempio della mia esperienza, in cui è stato un valore aggiunto. Io ho iniziato a fare il professionista poco prima di quella sentenza e mi ha dato l'opportunità di crescere giocando insieme a tanti campioni stranieri. Oggi rispetto ad allora c'è meno stabilità: le rose sono molto larghe e non tutti giocano. Così per non perdere il posto in squadra, quando non si gioca magari si cambia squadra spesso".

"Quello che è cambiato negli ultimi anni è solo il numero delle squadre che prima puntavano sui vivai mentre adesso, avendo un mercato ampio a portata di mano, diventa più facile andare a pescare i giovani negli altri Paesi piuttosto che formarli in casa, per questione di costi e di tempi. Poi - aggiunge - basta vedere Argentina o Brasile che hanno in nazionale tutti giocatori che giocano all'estero e la risposta arriva da sola. La domanda piuttosto è un'altra: è più formativo giocare la Champions con il Manchester United o rimanere in Italia e non fare le Coppe? Perché questa è la situazione che abbiamo oggi dove un terzo dei giocatori convocati abitualmente in nazionale gioca nei maggiori campionati esteri. magari il problema sta nel vedere che in Italia la formazione giovanile non ha quello sbocco che c'è invece all'estero dove esistono campionati di squadre B o squadre riserve e per i giovani italiani questo è penalizzante. Così oggi Rugani non gioca e Saponara è dovuto tornare all'Empoli per trovare spazio in Serie A".

L'Italia, conclude Tommasi, "è un paese dove ancora prima della Bosman il nome esotico ha sempre attirato, ma quella legge ha cancellato tante storture dando la possibilità al giocatore, che non si sente gratificato, di decidere il suo futuro. Il paradosso è che oggi i club si lamentano perché un giocatore vuole andare via e allo stesso tempo ne cerca altri che sono in scadenza di contratto. La soluzione sta nel trovare un modo per regolamentare e dare certezze anche se poi i club tengono duro e non vogliono spostarsi da quelle che sono le regole esistenti".

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