Più che una carriera, un calvario. Giuseppe Rossi si ferma ancora, ma stavolta non per i tackle di un difensore sulle sue fragili cartilagini o per la sfortuna che lo ha accompagnato spesso. Stavolta a stoppare 'Pepito' ci ha pensato un altro avversario, invisibile ma sempre in allerta e pericolosissimo: l'antidoping. L'ex attaccante della Nazionale (30 presenze e 7 goal in azzurro), nella scorsa stagione al Genoa e attualmente senza squadra, è stato trovato positivo al controllo effettuato il 12 maggio, al termine della partita tra Benevento e Genoa. La sua positivita' e' per una sostanza "specificata" (la dorzolamide, un inibitore dell' anidrasi carbonica), ovvero consentita dal regolamento solo in un caso: ma Rossi non ha dato spiegazioni plausibili alla Nado, tanto che la Procura, in vista del processo fissato l'1 ottobre, ha chiesto un anno di stop. Disattenzione o doping che sia, la brutta avventura rischia di trasformarsi in una pietra tombale nella sfortunata carriera di un calciatore "avrei voluto, ma non posso". Nato da genitori italiani a Teaneck, New Jersey, nel 1987, Rossi viene notato dal Parma, che nel 2000 lo porta in Italia. Le sue doti però attirano anche il Manchester United che acquista 'Pepito' nel 2004: a 18 anni trova la prima rete in Premier. Premesse più che rosee, tanto che si sprecano aggettivi e speranze.
Ma Pepito anzichè vittorie e trofei ha messo insieme solo infortuni e operazioni chirurgiche, una 'maledizione' più facile da spiegare con i referti medici che con gli almanacchi della Panini. Crociati, legamenti, operazioni a go-go che gli fanno mettere insieme qualcosa come 700-800 giorni di stop tra sale operatorie e riabilitazione. Due artroscopie e tre operazioni sono il bilancio di quanto è successo a Rossi tra il 2011 e il 2014, un calvario cominciato in un incontro di Liga quando Pepito indossava la maglia del Villarreal, con cui nella stagione precedente, per smaltire la delusione della mancata convocazione per il Mondiale sudafricano, aveva segnato 32 gol meritandosi l'interesse del Barcellona, dove Guardiola l'avrebbe voluto accanto a Messi. Alla fine era rimasto nel 'Sottomarino giallo', per la gioia dei tifosi di quella squadra, dei quali era l'idolo. Firenze la sua tappa successiva, anche qui tra sfortuna e affetto dei sostenitori viola, fino agli screzi con Paulo Sousa che lo faceva giocare poco e al prestito al Levante, di cui non riuscì ad evitare la retrocessione. Passa poi al Celta Vigo, con l'intenzione di riconquistare la nazionale. Tutto inutile, la sfortuna ancora una volta si accanisce contro di lui: contro l'Eibar ecco la nuova rottura del crociato che lo farà restare lontano dai campi tanti altri mesi. A gennaio 2018 rivede il palcoscenico della Serie A, con i colori del Genoa, tornando al gol nel maggio scorso, una festa che Pepito condivide con il suo vecchio mentore, sir Alex Ferguson, colpito in quei giorni da una grave emorragia. Sembrerebbe l'inizio dei una nuova rinascita, un nuovo punto di partenza; pochi giorni dopo si trasformerà invece nell'ennesimo punto interrogativo di una carriera incompiuta.
Riproduzione riservata © Copyright ANSA