"Illustre e caro Presidente Lotito e
caro Direttore Zazzaroni, sul suo giornale leggo con estremo
rammarico come due brevi battute tratte dal mio romanzo
'L'archivio del Diavolo', siano state considerate offensive nei
riguardi della tifoseria laziale. Non era certamente nel mio
intento ferire nessuno, tantomeno i tifosi di una delle squadre
che sia per ragioni familiari (i miei figli tifano Lazio da
sempre) che per ragioni affettive (sono amico di Pippo Inzaghi e
di conseguenza grande estimatore di Simone da anni) considero
una delle autentiche realtà ormai indiscutibili del nostro
calcio".
Questo l'incipit della lettera di chiarimento e scuse del
regista Pupi Avati dopo una campagna sui social contro di lui
per una frase che si trova appunto nel suo romanzo 'L'archivio
del diavolo': "laziale di me..." con cui viene etichettato uno
dei personaggi, tale Furio Momenté.
"Con quello scambio di battute fra i guardiani notturni del
Ministero di Grazia e Giustizia (scena tra l'altro ambientata
nei remoti anni cinquanta) - continua il regista - ho inteso
dare verosimiglianza a un'interlocuzione corrente, salace e
corrosiva, che tutt'ora si può udire in qualsivoglia contesto
della Capitale. Probabilmente ho sbagliato, e me ne scuso
davvero con Lei e con tutti i tifosi, nel non aver considerato
che con quel paio di brevi battute, avrei urtato la sensibilità
dei tanti seguaci della Lazio. In attesa - conclude - dei nuovi
goal del grande Ciro Immobile, vi saluto con amicizia".
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