Washington, 2 aprile 1968: dopo tre
mesi di isolamento totale nella sua casa-laboratorio di Abbots
Mead, in aperta campagna non lontano da Londra, Stanley Kubrick
presenta al pubblico e alla critica il suo lavoro più ambizioso,
"2001: Odissea nello spazio" dal soggetto del guru della
fantascienza Arthur C. Clarke. E' un progetto rivoluzionario e
un film che entra di prepotenza nella storia del cinema: oggi si
può anche leggerlo come un'icona di quell'utopia esistenziale
che innerva la stagione dei grandi cambiamenti e dei fermenti
che, dall'America all'Europa, segnano il fatidico anno 1968.
Con un salto temporale che ancora oggi lascia senza fiato,
l'inizio di "2001: Odissea nello spazio" trasporta l'uomo
dall'alba della preistoria al futuro usando una metafora di
offesa e conquista (l'osso scagliato verso il cielo) come
simbolo di una violenza ancestrale che si trasforma in astronave
e quindi in uno sguardo verso la possibile evoluzione della
razza umana.
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