Giustizia per George Floyd, per
la sua famiglia, per l'America: è l'accorato appello di Bob
Dylan, voce iconica da oltre mezzo secolo della canzone di
protesta, davanti all'uccisione da parte della polizia bianca di
Minneapolis dell'ennesimo afro-americano disarmato. Il premio
Nobel per la Letteratura, autore di brani di denuncia
dell'arroganza dei bianchi e dell'odio di razza come "George
Jackson", "Only a Pawn in Their Game" e "The Lonesome Death of
Hattie Carroll", è stato intervistato dal New York Times per
telefono nella sua casa di Malibu in California.
"Mi ha nauseato senza fine vedere George torturato a morte in
quel modo. E' stato oltre l'orrore. Speriamo che la giustizia
arrivi presto per la famiglia Floyd e per la nazione", ha detto
il 79enne di Duluth, Minnesota, che nel 1976, nella ballata
"Hurricane", ha cantato contro la brutalità della polizia contro
la gente di colore. L'intervista del professore di storia a Rice
David Brinkley è arrivata una settimana dall'uscita, il 19
giugno, del nuovo album "Rough and Rowdy Ways", il primo di
canzoni originali da "Tempest" del 2012.
La lista dei 10 brani, pubblicata ieri su Instagram, include
i singoli usciti nei mesi della pandemia "False Prophet," "I
Contain Multitudes" e la maratona di 17 minuti "Murder Most
Foul" sull'assassinio di Kennedy. Le nuove canzoni, composte
nella clausura della quarantena da coronavirus, includono titoli
come "Crossing the Rubicon" e "Mother of Muses", "Goodbye Jimmy
Reed" e "Key West", questi ultimi due rispettivamente omaggio al
bluesman del Mississippi e alla triade "Ginsburg, Corso e
Kerouac".
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