E' un messaggio whatsapp delle 9
del mattino del 20 maggio, in anticipo di due ore rispetto al
momento in cui la fornitura fu trasformata in donazione, a
fondare la convinzione dei pm di Milano di "un preordinato
inadempimento" contrattuale "per effetto di un accordo
retrostante" tra la Regione Lombardia e l'imprenditore varesino
Andrea Dini (cognato del presidente lombardo della Attilio
Fontana) nella vicenda dei 75mila camici inizialmente data con
affidamento diretto alla "Dama spa" dello stesso Dini per un
valore di 513.000 euro.
In possesso dei pm, come riportano alcuni quotidiani, c'è un
whatsapp di Dini alla responsabile di una Onlus varesina. "Ciao,
abbiamo ricevuto una bella partita di tessuto per camici. Li
vendiamo a 9 euro, e poi ogni 1000 venduti ne posso donare 100",
mandato due ore prima di formulare per la prima volta l'offerta
alla Regione di trasformare la fornitura in parziale donazione
con una contestuale riduzione della restante fornitura.
Secondo l'accusa, quindi, Dini già "offriva in vendita"
all'interlocutrice "i camici non consegnati ad Aria spa". Il 18
giugno la donna, sentita dai pm, avrebbe rafforzato questa loro
interpretazione aggiungendo che in aprile Dini le aveva detto
"di dover vendere alla Regione" in forza di "un contratto in via
esclusiva".
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