Come si fa a immaginare Nanni Moretti settantenne? Un'intera generazione, quella che lo applaudiva a scena aperta sentendolo esclamare "Sono un splendido quarantenne" (ai tempi di "Caro Diario"), dovrà rassegnarsi a festeggiare con l'autore romano il traguardo dei 70 anni il 19 agosto. Eppure sarà un bel compleanno perché in tutto questo tempo Nanni ha guadagnato in qualità e profondità espressiva, ma senza perdere vitalità, ironia, vigore e ciò che John le Carré chiamava "La passione del suo tempo". Il suo obiettivo ha visto passare la stagione dell'insofferenza giovanile, quella dell'impegno politico, dell'indignazione morale, mischiate alla malattia, al disincanto e al dolore. E ogni volta ha scelto un'angolazione originale, una ricerca ideale, un senso globale del lavoro dell'artista che oggi possiamo finalmente apprezzare. Allampanato, tagliente fin nel fisico e nella parola, sportivo e competitivo fino ad ironizzarne gli eccessi, timido e scontroso solo all'apparenza (il suo sorriso è fanciullesco e contagioso), non è forse per caso che l'autore di "Caro diario" sia nato a Brunico il 19 agosto 1953 durante una vacanza dei genitori in montagna. E' difficile immaginare qualcuno più romano di Nanni Moretti, ma sembra che nei suoi cromosomi lo spirito protestante e rigoroso degli alto-atesini sia inciso a fuoco. La sua è una famiglia di docenti: il padre Luigi insegna epigrafia latina, la madre (Agata Apicella) è professoressa di lettere, il fratello maggiore Franco sarà ordinario di letterature comparate e Silvia (la sorella più piccola) entrerà alla Treccani: una famiglia borghese che però non contrasterà mai la passione per il cinema del ragazzo che addirittura vende (così narra la leggenda) la sua collezione di francobolli in cambio di una cinepresa Super8.
Con questa gira le sue prime prove ("La sconfitta", "Paté de borgeois", "Come parli, frate?") che presenterà alle Giornate del Cinema, la contro-mostra di Venezia nel 1974. Sempre in Super8 - sembra con l'aiuto della nonna e la benevolenza del padre - gira nel 1976 il suo primo lungometraggio, "Io sono un autarchico" che resterà per mesi in cartellone al Film Studio di Roma. Alla formazione del futuro cineasta contribuiscono le serate passate al Cineclub Roma Sud (Nanni ha preso casa nel quartiere Trieste della Capitale), l'agonismo nella pallanuoto (dalla Lazio Nuoto spiccherà il volo fino alla Nazionale Juniores), la scoperta della politica. Con "Io sono un autarchico" nasce il suo alter-ego da lui stesso interpretato: quel Michele Apicella a cui Moretti affiderà i suoi "eroici furori" e la sua graffiante ironia ben quattro volte fino a "Bianca" del 1984. Il biglietto da visita del felice esordio gli permetterà nel 1978 di approdare al circuito ufficiale con "Ecce Bombo" grazie al fiuto del produttore indipendente Mario Gallo.
Girato insieme agli amici Paolo Zaccagnini (indimenticabile critico musicale), Fabio Traversa (attore caratterista), Piero Galletti (compagno di studi) ma anche con professionisti noti come Lina Sastri e Glauco Mauri, il film diventerà l'evento dell'anno, approderà in concorso al festival di Cannes, guadagnerà due miliardi di lire, dieci volte il suo costo.
Cominciano in quell'occasione le invettive del Moretti-critico contro il cinema di consumo; la prima vittima è Alberto Sordi, seguirà Lina Wertmueller, fino al mondo Netflix sbeffeggiato ne "Il sol dell'avvenire". La strada di Cannes sarà sempre per Moretti la via maestra con le eccezioni del terzo film, "Sogni d'oro" che debutta alla Mostra di Venezia nel 1981 guadagnando il Leone d'argento, di "La messa è finita" (Orso d'argento a Berlino) e "Palombella rossa" (di nuovo a Venezia, ma fuori concorso). Da "Caro diario" (1993) in poi sarà invece sempre sulla Croisette per un totale di nove partecipazioni benedette dalla famosa "eccezione Moretti" che gli consente - caso raro per il Festival di Cannes - di far uscire i suoi film mesi prima della première in Costa Azzurra. Ma la "prima volta" gli è rimasta incisa nella memoria: ""Ricordo - ha confessato di recente - che avevo una giacca gialla a quadretti, non c'erano tappeti rossi, passerelle, la proiezione fu nel vecchio Palazzo, sul lungomare dalla parte degli alberghi, non c'era l'obbligo del vestito da sera, ero con qualche attore come Fabio Traversa, Paolo Zaccagnini, quello che ricordo bene era la totale inconsapevolezza che ci accompagnava". Sarebbe tornato invece - tra un film e l'altro - in smoking e con cipiglio severo per presiedere la giuria nel 2012, lo stesso anno in cui avrebbe avuto la Legion d'onore del governo francese. Francia e Italia sono certamente le due nazioni che l'hanno adottato, specie dopo la Palma d'oro de "La stanza del figlio" nel 2001. Ma da Toronto a New York, da Locarno a Londra, i grandi festival del mondo ne hanno festeggiato la grandezza e l'unicità. Instancabile e militante, dagli anni '90 in poi si è spesso distinto con lavori documentari di grande impatto (due per tutti "La cosa" e "Aprile"), ha suscitato polemiche per le sue prese di posizione (sullo schermo con "Il caimano", nelle piazze con i "girotondi") contro il berlusconismo e l'avvento delle Destre al potere. Nel 1987 fonda con l'amico Angelo Barbagallo la Sacher Film con cui produrrà gli esordi di Carlo Mazzacurati e Daniele Luchetti. Nel '90 aprirà la sala d'essai Nuovo Sacher a due passi da Trastevere, il cinema destinato ad ospitare il meglio della produzione indipendente da "Riff Raff" di Ken Loach (la sera della prima) a "Close Up" di Abbas Kiarostami (a cui dedicherà un celebre cortometraggio). Sarà attore premiato ne "Il portaborse" di Luchetti, "Caos calmo" di Antonello Grimaldi e "Il colibrì" di Francesca Archibugi; produrrà lavori di Mimmo Calopresti, Velia Santella, fino al recente "Las leonas" di Isabel Achava e Chiara Bondi presentato alle Giornate degli Autori nel 2022.
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