Sono 2302, di cui 400 minori, le
persone prese in carico nel 2023 grazie al Codice rosa, ovvero
il percorso di accesso al pronto soccorso riservato a tutte le
vittime di violenza (in particolare donne, bambini e persone
discriminate), un'esperienza pilota tenuta a battesimo in
Toscana nel 2009 a Grosseto, poi successivamente estesa a tutta
la regione e che dal 2012 ha offerto protezione a 30.119
individui. I dati sono stati presentati a Firenze in occasione
della consueta convention regionale, la quinta, che chiama a
confronto sul tema i professionisti delle Aziende sanitarie ed
ospedaliere della Toscana, permettendo lo scambio anche di buone
pratiche.
Delle 2302 persone accolte lo scorso anno 1902 sono adulti e
tra questi l'81,5% donne (1551). Per tre quarti hanno tra 18 e
49 anni. I minori presi in carico sono 400: più della metà (il
58,8%) hanno tra 12 e 17 anni e i più numerosi (32,3%) sono
quelli tra 15 e 17. Nel 2022 erano stati 2138 gli accessi, di
cui 358 i minori, e 1918 (con 272 minori) nel 2021. Il picco
maggiore si è toccato nel 2016 con 3426 casi: 3268 nel 2014,
3142 nel 2017, 2998 nel 2013, 2799 nel 2018.
"Questa rete costituisce un'assoluta eccellenza riconosciuta
come modello a livello nazionale" sottolinea il presidente della
Toscana Eugenio Giani intervenuto all'evento e che poi ha
ringraziato Vittoria Doretti, responsabile del programma, "per
l'impegno profuso in tutti questi anni nel far crescere
l'esperienza e formare, attivare e sensibilizzare i
professionisti del sistema sanitario regionale". Di alleanza tra
donne e dell'importanza di costruire una cultura del rispetto
per contrastare la violenza parla la capo di gabinetto del
presidente Giani Cristina Manetti, ideatrice della Toscana delle
donne. "Si tratta di un progetto concreto, ancorato ai valori
della nostra Costituzione - ha detto l'assessore al diritto alla
salute della Toscana, Simone Bezzini -. La rete regionale Codice
Rosa tiene insieme l'assistenza sanitaria pubblica con i
diritti. Non è un semplice percorso nei pronto soccorso, ma un
vero e proprio processo culturale che parte dal sistema
sanitario e che ha contribuito a far emergere fenomeni che
spesso rimangono sommersi, offrendo cura e protezione a chi ne è
vittima. Un'esperienza che nei prossimi mesi si arricchirà con
servizi specifici per i crimini d'odio" .
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