Dall'analisi del contenuto di oltre 40.000 pagine di atti dell'indagine della Procura di Trento su Sara Pedri, "va subito affermato, senza timore di essere smentiti, che non emerge alcuna indicazione proveniente dalla dottoressa Pedri, o da altri, circa atteggiamenti intimidatori, vessatori o violenti attribuibili al dottor Tateo e da lei subiti". Lo scrive l'avvocato Salvatore Scuto, legale di Saverio Tateo, l'ex primario del reparto di ostetricia e ginecologia dell'ospedale di Trento, dove lavorava Sara Pedri, scomparsa in Trentino dal 4 marzo 2021. Nei giorni scorsi erano stati diffusi i contenuti di una perizia psicologica di parte prodotta dall'avvocato della madre della ginecologa 31 enne con la frase "Sono un morto che cammina. Questa volta non ce la farò", attribuita a Sara che - secondo la perizia - sarebbe stata vittima di mobbing sul posto di lavoro.
Secondo quanto rileva l'avvocato Scuto quella frase è stata estrapolata da una conversazione ben più complessa ed esisterebbe invece "un sentimento di personale insoddisfazione che accompagna la dottoressa Pedri in ogni contesto lavorativo in cui si è trovata. E ciò sembra del tutto indipendente dalle persone con cui la stessa ha collaborato, in quanto pare nascere dalla scelta dell'ambito professionale e da un vissuto particolarmente complesso". Negli atti ci sono infatti 32.561 pagine relative ai contenuti del telefono di Pedri, risalenti anche al 2019 e 2020, ben prima che la donna arrivasse in Trentino. Messaggi e mail ad amici, famigliari e colleghi da cui a volte traspaiono frustrazione e insicurezza. Secondo l'avvocato Scuto, quindi, la giovane ginecologa stava certamente vivendo un disagio "nel periodo appena precedente la sua scomparsa, questo disagio non era certo ' frutto' del rapporto con dottor Tateo, come viceversa è stato univocamente fino ad oggi narrato dagli organi di stampa".
Secondo l'avvocato Scuto, dall'analisi delle conversazioni di Sara Pedri, emerge un quadro di forte disagio personale legato soprattutto alla frustrazione della dottoressa per non poter coronare il vero obiettivo professionale, ovvero lavorare in un centro Pma, l'unità per la procreazione medicalmente assistita.
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