"Dal 29 maggio 2019 non ho mai
parlato aspettando di essere in una sede istituzionale. In
questi tre anni ho avuto su di me e sui miei familiari fango,
calunnie e accuse": lo ha detto l'ex procuratore di Roma,
Giuseppe Pignatone, durante la sua testimonianza di oggi davanti
al tribunale di Perugia, nel processo all'ex magistrato romano
Stefano Rocco Fava e all'ex consigliere del Csm Luca Palamara,
entrambi presenti in aula.
In merito all'esposto presentato da Fava nei suoi confronti
Pignatone ha detto di essere "il primo a essere dispiaciuto del
fatto che il Csm non abbia potuto fare una verifica su quelle
quattro carte". "Perché avrebbero capito che non c'era nessuna
incompatibilità e che io ho fatto quello che dovevo fare" ha
aggiunto.
"Ho sentito - ha sottolineato l'ex procuratore - le molte
doglianze del dottor Fava, alcune partite da lui e altre
riportate: scippo di processi, misure cautelari che non hanno
avuto corso. Nessuna di queste è fondata e faceva parte
dell'esposto al Csm che verteva su una presunta
incompatibilità".
Nel procedimento in corso a Perugia a Palamara e a Fava viene
contestato di avere rivelato notizie d'ufficio "che sarebbero
dovute rimanere segrete" e, in particolare, "che Fava aveva
predisposto una misura cautelare nei confronti di Amara per il
delitto di autoriciclaggio e che anche in relazione a questa il
procuratore della Repubblica non aveva apposto il visto". Fava,
all'epoca dei fatti sostituto procuratore nella capitale, è
accusato di essersi "abusivamente introdotto nel sistema
informatico Sicp e nel Tiap acquisendo verbali d'udienza e della
sentenza di un procedimento". Il suo obiettivo, secondo l'atto
di accusa "era di avviare una campagna mediatica ai danni di
Pignatone, da poco cessato dall'incarico di procuratore di Roma
e dell'aggiunto Paolo Ielo" anche con "l'ausilio" di Palamara.
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