Dopo Terni, anche nel carcere di
Perugia un detenuto ha appiccato il fuoco nella sua cella. Lo
riferisce il Sappe.
"Nella serata di ieri, un detenuto italo-brasiliano ha
incendiato due materassi ed altri suppellettili all'interno
della propria cella nella sezione 3B del Reparto circondariale",
informa il segretario Sappe dell'Umbria, Fabrizio Bonino.
"Grazie all'intervento degli agenti presenti sul posto -
prosegue Bonino in una nota - e successivamente grazie anche ai
colleghi richiamati da casa e prontamente giunti in istituto per
dare supporto ai poliziotti in servizio, si è scongiurato il
peggio. Si è provveduto ad evacuare tutta la sezione, in quanto
il fumo sprigionato non permetteva di respirare. Inoltre, una
volta spento l'incendio il detenuto che aveva dato fuoco è stato
trasportato al nosocomio cittadino per controlli e
successivamente ricoverato. Ben quattro agenti che avevano
inalato molto fumo, a cui va tutta la solidarietà del Sindacato
autonomo polizia penitenziaria, sono stati prima soccorsi e
subito dopo inviati in ospedale e successivamente dimessi con
prognosi varie", afferma il sindacalista.
"Trovo profondamente ipocrita e vergognoso - commenta Bonino
- che vi sia chi sfrutti il dramma delle carceri per chiedere
indulti o amnistie utili a fronteggiare il sovraffollamento dei
penitenziari. Sì, ci manca solo che diamo un premio ai violenti
che incendiano le carceri e creano situazioni di vero pericolo
per se stessi e per tutti gli altri. Non è aprendo le porte
delle celle e far uscire i detenuti la soluzione del problema.
Serve invece la certezza della pena perché la verità è che la
situazione penitenziaria resta allarmante e le violenze folli
degli irresponsabili che le commettono sono gravi e
inaccettabili".
Solidarietà alla polizia penitenziaria di Perugia e
dell'Umbria arriva anche da Donato Capece, segretario generale
del Sappe: "Per avere un carcere sempre più sicuro occorrerà
pensare ad un insieme di misure e strategie che rendano la vita
dei detenuti sicura, quella degli Agenti meno problematica e
quella della macchina meno complessa e più efficace. Va bene la
tutela dei diritti, ma si parta da quelli dei poliziotti, delle
persone per bene e degli stessi detenuti che scontano la pena
senza macchiarsi di nuovi crimini e reati. Ogni giorno nelle
carceri italiane succede qualcosa, ed è quasi diventato
ordinario denunciare quel che accade tra le sbarre. Così non si
può andare più avanti: è uno stillicidio continuo e quotidiano".
"Eventuali amnistie, indulti e condoni servono a poco se poi
non seguono riforme strutturali: ed è dunque del tutto ipocrita
invocare soluzioni del genere per fare fronte ad un problema
reale che vede coinvolti in primis gli appartenenti al Corpo.
Piuttosto - conclude Capece - servirebbe un potenziamento
nell'ambito dell'area penale esterna, con contestale nuovo
contesto ed impiego operativo del personale di Polizia
Penitenziaria, per coloro i quali si trovano nelle condizioni
previste dalle leggi. Ma, parimenti, i violenti devono essere
destinati ad un regime penitenziario più rigido e severo".
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