Violetta, quando il sipario si
alza, è sdraiata in un letto d'ospedale. Ci sono medici che
l'assistono. Sono le sue ultime ore, ma in lei pulsa un
desiderio di vita, di resistenza al male che l'uccide. Il
"Libiamo ne lieti calici" trasforma, come tra realtà e sogno, la
branda in un sofà rosso, con il coro ad alzare i bicchieri,
presente ma immobile, visibile ma distante, dietro un tulle.
"La Traviata" di Giuseppe Verdi, nella regia di Christophe
Gayral, in scena al Teatro La Fenice il 25 e 27 settembre, fa i
conti con il Covid-19, con le regole di sicurezza per cantanti,
orchestra e pubblico, ma urla nella sua "sperimentazione" la
volontà di un Teatro lirico che vuole trovare la strada per
costruire il nuovo, trasformare le difficoltà, le restrizioni in
opportunità. Ne è convinto il sovrintendente Fortunato
Ortombina: "Le misure di contenimento, le distanze tra persone,
devono essere non un limite ma una risorsa, una fonte di
ispirazione creativa".
In scena per la prima volta proprio alla Fenice il 6 marzo
1853, la Traviata fu scelta per l'inaugurazione del Teatro
"dov'era com'era" dopo l'incendio del 1996. L'allestimento sarà
di Gayral in una forma semiscenica, anche se per Ortombina il
"semi" si potrebbe togliere.
Riproduzione riservata © Copyright ANSA