Nel corso della seconda ispezione,
nell'agosto 2013, trovammo alcune pratiche di fido in cui c'era
scritto che attraverso quell'importo erano previsti acquisti di
azioni, oppure che il finanziamento era concesso perché il
cliente evitasse di perdere le azioni che già aveva. Pensammo
che i vertici della banca avessero perso il lume della ragione
perché un'azione finanziata deve essere dedotta dal patrimonio
perché sarebbe un caso chiaro di annacquamento del capitale".
Sono parole pronunciate oggi, in sede di testimonianza di fronte
al Tribunale di Treviso nel corso del processo contro
l'amministratore delegato di Veneto Banca, Vincenzo Consoli,
dall'ispettore della Banca d'Italia Biagio De Varchi che guidò
le due ispezioni nella sede della banca nel 2013. Nella
deposizione, durata più di due ore, De Varchi ha riferito che la
verifica di tale fenomeno avvenne quasi incidentalmente e che
riguardò un numero ridotto di casi, 16 in tutto, rilevati a
campione e relativi ad alcuni grandi imprenditori. "Ma la
mancanza di consapevolezza dell'illiceità dei comportamenti - ha
aggiunto De Varchi - ci faceva pensare ad un fenomeno assai più
diffuso". L'ispettore ha anche parlato dell'esistenza di
istruttorie per la concessione di fidi in cui "mancavano analisi
approfondite sulla capacità del debitore di restituire gli
importi e si indicava solo la dicitura 'nominativo noto presso
la direzione'.
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