Per Paolo Graziosi, attore di cinema,
maestro di teatro, volto familiare della grande tv pubblica che
se ne è andato stamane di prima mattina all'ospedale San Bortolo
di Vicenza, si dovrebbe scrivere un'elegia della felice
normalità: grande sulla scena, semplice e umano nella vita con
tutte le sue contraddizioni e difficoltà. Era nato a Rimini il
25 gennaio del 1940. Negli anni della grande ribellione, tra il
'68 e gli anni '70, Paolo Graziosi ha lavorato con i migliori
esponenti del nuovo cinema italiano, da Liliana Cavani
("Galileo") a Salvatore Samperi ("Cuore di mamma"), cercato dai
"maestri" (Luigi Comencini, Francesco Rosi, Giuseppe Patroni
Griffi), mantenendo sempre forte il sodalizio con Marco
Bellocchio che lo aveva voluto nella Cina è vicina . In realtà
però la sua vocazione era profondamente legata al teatro,
all'emozione della scena che ogni sera è diversa e con la quale
si sarebbe misurato tutta la vita cavalcando i classici
(Euripide, Shakespeare, Goldoni), i moderni (Pirandello, Ibsen)
e i modernissimi (Beckett, Ionesco, Pinter) a cominciare da quel
Mercuzio di "Romeo e Giulietta" per cui lo scelse Franco
Zeffirelli nel 1964. Furono del resto proprio il teatro e la
grande letteratura a renderlo popolare nella Rai degli anni '70
tra "Ritratto di signora" e "Le affinità elettive" con registi
come Vittorio Cottafavi, Sandro Sequi, Gianfranco De Bosio.
Negli ultimi anni, nonostante una durissima battaglia, vinta
alla fine, contro il cancro, non aveva mai rinunciato a
lavorare: basti citare la sua memorabile "Lezione" di Ionesco e
l'Oscar del teatro nel 2005 per "Sei personaggi in cerca
d'autore"; i ruoli in fiction di successo come "Il commissario
Montalbano" e "Chiara Lubich" dello scorso anno; la chiamata di
Nanni Moretti ("Tre piani") e Pupi Avati (l'ancora inedito
"Dante") per il grande schermo.
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