''L'Abruzzo ora può contare su uno
strumento efficacissimo per pretendere da chi ha inquinato la
bonifica di quell'area, con vantaggi che tutti possono
immaginare per la salute e il benessere del territorio e di chi
lo vive: 10 anni di lavoro non sono stati inutili'' Lo si legge
nel post di Cristina Gerardis, l'avvocato dello Stato che ha
seguito tutto il processo per la mega discarica dei veleni di
Bussi sul Tirino (Pescara) a commento delle motivazioni della
sentenza della Cassazione.
La Gerardis spiega che ''La sentenza può definirsi storica,
per 4 motivi. Il primo: ha detto che il reato di avvelenamento
protegge dalle aggressioni dell'uomo anche le acque di falda,
quelle sotterranee, non visibili agli occhi, ma essenziali per
l'approvvigionamento idrico. Il secondo: ha confermato che, in
quella zona dell'Abruzzo, società della Montedison, per mezzo
secolo, hanno causato un disastro ambientale definito come un
"accadimento macroscopico, dirompente e caratterizzato per il
fatto di recare con sé una rilevante possibilità di danno alla
vita o all'incolumità di un numero non individuabile di
persone". Lo hanno fatto esercitando l'industria, con il solito
inaccettabile scambio tra lavoro e salute, tra denaro e
ambiente''.
L'avvocato dello Stato, che dopo la sentenza del 2014 della
Corte d'Assise di Chieti ha svolto anche il ruolo di direttore
generale della Regione Abruzzo per due anni, spiega che ''il
terzo motivo è che ha definitivamente affermato che il disastro
ambientale e l'avvelenamento delle acque possono essere commessi
anche "non facendo", minimizzando la gravità della situazione,
falsando i dati per tranquillizzare la gente, dando indicazioni
di "non spaventare chi non sa". Il quarto: ha accolto nella sede
più alta di un processo la mia tesi, che anche negli anni '60 e
'70, in Italia, "l'ordinamento conteneva norme volte a tutelare
le acque dall'inquinamento e le stesse matrici ambientali",
anche se ''gli imputati possono trincerarsi dietro la
prescrizione''.
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