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Moti aquilani: Pezzopane, sindrome da 'scippo' è ancora viva

Moti aquilani

Moti aquilani: Pezzopane, sindrome da 'scippo' è ancora viva

Deputato Pd, era palpabile la paura

L'AQUILA, 27 febbraio 2021, 11:22

Redazione ANSA

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"Si creò una cesura che, da allora, rimase tema centrale nella vita politica aquilana. Così come è ancora viva la sindrome dello scippo, giunta fino agli anni più recenti, in cui c'è stata la necessità di ribadire con una legge, ferma in Consiglio regionale, che L'Aquila sia il capoluogo d'Abruzzo". A sottolinearlo all'ANSA è il deputato del Pd Stefania Pezzopane, che rievoca i giorni dei moti dell'Aquila; all'epoca aveva 10 anni.
    "Furono chiuse le scuole per oltre una settimana - ricorda - ma la sensazione di vacanza, per noi bambini, svanì subito perché nelle parole dei nostri genitori era palpabile la paura.
    Anche le feste di famiglia furono sospese. Comunioni, incontri, tutto si fermò in città. L'atmosfera era di paura. Ricordo distintamente un corteo davanti a San Bernardino. Io ero in macchina con io fratello e alla guida c'era mio padre, il quale alla vista della folla pressante si spaventò moltissimo e ci riportò subito a casa".
    "La memoria di quella vicenda però - sottolinea la Pezzopane - già pochi anni dopo quando iniziai a far politica al ginnasio, era fortissima. A cominciare dalla porta della sede del Partito Comunista Italiano, in via Paganica, data alle fiamme. La stessa porta è rimasta fino al terremoto del 2009 e nonostante le riverniciature portava sempre i segni dell'incendio".
    "Questa vicenda - aggiunge ancora - si ricordava costantemente nei racconti e negli aneddoti dei compagni di partiti, ma anche della gente comune, come un marchio di discriminazione e ingiustizia fatta al Capoluogo. Gli storici dirigenti del PCI, tra i quali Italo Grossi, Rocco Buttari, Alvaro Iovannitti, Federico Brini, raccontavano che in quei giorni, dopo l'incendio del portone del PCI, dovettero personalmente presidiare la sede per evitare altre violenze. La città si sentiva a rischio per la sua sicurezza sociale. Il trasferimento, in parte degli assessorati e del consiglio regionale a Pescara, fu avvertita come una profonda ingiustizia dal popolo aquilano. Quella è stata la prima volta in cui L'Aquila ha compreso che a causa della sua dimensione e per gli scarsi numeri politici che la rappresentavano, doveva restringere le proprie aspettative".
    Secondo la Pezzopane "nel dibattito sociale e politico la cesura tra aerea costiera e interna non è mai stata ricucita.
    Bisogna dar merito a quei politici, tra i quali Luciano Fabbiani, che si presero la responsabilità di operare una mediazione politica, mettendoci la faccia, che fu la salvezza del capoluogo in quel momento". "Il rischio, infatti, a causa dei pochi numeri di rappresentanza, era quello di perdere completamente il ruolo di capoluogo di Regione. Il popolo non capì subito, ci vollero anni di lavoro concreto e militanza per riconquistare la fiducia degli aquilani. Una fiducia forse riacquisita, ma accompagnata da un senso di penalizzazione, ancora oggi".
    "In questi cinquant'anni - conclude - molte scelte hanno fatto passi avanti nel riequilibrio territoriale, ma così come i gamberi, in altri momenti si è tornati indietro sulla divisione. Oggi andrebbe superato quel campanilismo, che L'Aquila ha subito anche nel 2020 con la realizzazione di un ospedale Covid a Pescara. Ancora non ci si sente tutti abruzzesi".
   

Riproduzione riservata © Copyright ANSA

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