All'origine di alcune forme di epilessia a insorgenza pediatrica ci sono variazioni in un gene denominato KCNA3, che è responsabile della produzione di alcune proteine coinvolte nell'eccitabilità dei neuroni (i canali del potassio KCNA3). È quanto ha scoperto una ricerca internazionale coordinata da Johannes Lemke, University of Leipzig Medical Center, in Germania e da Maurizio Taglialatela, ordinario di Farmacologia dell'Università "Federico II" di Napoli, realizzata nell'ambito del progetto Mnesys, il più ampio programma di ricerca sul cervello mai realizzato in Italia. La ricerca potrebbe contribuire a individuare trattamenti più efficaci per i bambini e ragazzi con epilessia.
Nel 60% dei casi l'epilessia insorge prima della pubertà, entro i 13-14 anni. Nonostante ciò, il trattamento delle epilessie in età pediatrica è ostacolato dalla bassa specificità dei trattamenti disponibili. "Storicamente, gli studi di efficacia dei farmaci anticonvulsivanti sono stati inizialmente condotti sugli adulti e solo successivamente, e non sistematicamente, su soggetti in età pediatrica", spiega Taglialatela, che coordina Spoke 3, uno dei sotto-progetti in cui è articolato Mnesys, che si propone di studiare i meccanismi responsabili dell'epilessia.
Nello studio, continua Taglialatela, "sono stati selezionati individui portatori di una variante del KCNA3, l'86% dei quali con manifestazioni di encefalopatie epilettiche. Lo studio ha inoltre mostrato che il farmaco antidepressivo fluoxetina potrebbe rappresentare un potenziale trattamento mirato per gli individui portatori di alcune varianti di KCNA3".
Sempre dal progetto Mnesys arriva un altro studio che si concentra invece sulla forma di epilessia acquisita e mostra che tra le cause potrebbe esserci un'alterazione del microbiota intestinale. In esperimenti su modelli animali è stato dimostrato che gli animali con epilessia, avevano "alterazioni strutturali, cellulari e molecolari che riflettono un intestino disfunzionale, specificamente associato all'epilessia", riferisce Teresa Ravizza dell'Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri di Milano, tra gli autori dello studio.
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