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In evidenza
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Responsabilità editoriale di ASviS
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L’emergenza sanitaria ha impattato fortemente sull’Obiettivo 4 dell’Agenda 2030: nel mondo 1 miliardo e 650 milioni di giovani hanno interrotto le normali attività scolastiche. La chiusura delle scuole per un periodo prolungato e la conseguente adozione della Didattica a distanza (Dad) ha avuto ricadute negative sui processi di insegnamento e apprendimento, oltre che sulla capacità di inclusione e, di conseguenza, sul livello di competenza degli studenti e sulla dispersione scolastica (il 12,3% dei minori non disponeva di un pc o tablet a casa).
Alla vigilia della tempesta che ha investito il mondo della scuola, alla fine del 2019, il panorama delle politiche dell’istruzione era stato interessato già da diversi cambiamenti:
Le consistenti risorse aggiuntive stanziate con la Legge di Bilancio non hanno impedito, però, le dimissioni del ministro dell’Istruzione, università e ricerca (Miur) Lorenzo Fioramonti, che aveva minacciato di abbandonare l’esecutivo qualora non si fossero destinati almeno tre miliardi al rilancio del settore istruzione. A seguito delle dimissioni il Governo ha deciso di separare le competenze del Miur in due ministeri separati: il ministero dell’Istruzione, affidato a Lucia Azzolina, e quello dell’Università e della Ricerca, affidato a Gaetano Manfredi. Tale divisione è intervenuta proprio mentre la crisi da Covid-19 si abbatteva sul Paese, con il passaggio alla Didattica a distanza (Dad), determinando ulteriori ritardi nella risposta alla situazione emergenziale.
A fine marzo il Decreto “Cura Italia” ha stanziato 85 milioni per piattaforme, device digitali, connessioni di rete e formazione del personale scolastico, affinché tutte le scuole potessero adottare la Dad.
Con il Decreto “Rilancio” di maggio, che ha portato l’unità di misura degli stanziamenti dalle decine alle centinaia di milioni di euro, e ancora più a luglio con l’accordo europeo sul Next Generation Eu, si sono iniziate a vagliare ipotesi di deroghe alla legislazione vigente, tali da favorire la ripartenza in sicurezza.
Un’analisi del Decreto “Rilancio” – convertito in legge a luglio – rivela il diverso trattamento riservato a scuola e università rispetto al passato. A entrambi i comparti sono state destinate risorse abbondanti, ma mentre quelle per la scuola sono concentrate negli anni 2020-2021 e rispondono chiaramente a una logica di emergenza, quelle per l’università prevedono finanziamenti più strutturali.
I successivi Decreti hanno previsto lo stanziamento di nuovi fondi per la fruizione della Didattica digitale integrata, caratterizzata cioè da momenti di insegnamento a distanza e attività svolte in presenza. Tuttavia, si evidenzia come la logica emergenziale che caratterizza i finanziamenti alla scuola ha fatto sì che il dibattito pubblico degli ultimi mesi si sia concentrato sugli acquisti di beni ritenuti indispensabili per l’avvio dell’anno scolastico (successivamente fonte di polemiche, si pensi ai banchi monoposto e con rotelle, che hanno sollevato dubbi sull’efficacia e in una prospettiva di sostenibilità) più che sui modi più opportuni per fronteggiare le pesanti eredità negative del lockdown, prima fra tutte la saldatura tra la perdita di apprendimento legata alla Dad e quella generata dalla lunga chiusura estiva (ennesima anomalia italiana sulla scena europea), con il conseguente aggravarsi delle disuguaglianze.
Leggi tutti gli sviluppi normativi sul Goal 4.
Il Goal 4, a livello europeo[1], mostra elevate differenze tra i Paesi: il valore massimo dell’indice composito è ottenuto dall’Irlanda, quello minimo dalla Romania, con una differenza di oltre 33 punti. Tranne l’Olanda e la Bulgaria, tutti i Paesi presentano miglioramenti rispetto al 2010, in alcuni casi (Polonia e Portogallo) molto consistenti. Tre Paesi (Grecia, Bulgaria, Romania) evidenziano un considerevole ritardo rispetto alla media europea, dovuto alle minori competenze di base e ad una bassa partecipazione alle attività educative nella prima infanzia. L’Italia si colloca tra gli ultimi posti, con un tasso di laureati fra i più bassi d’Europa, pari al 27,8% nel 2018, a fronte di una media europea pari al 40,7%, e un tasso di occupazione dei neolaureati, pari al 56,5% nel 2018 (rispetto a una media europea dell’81,6%), superiore solo a quello della Grecia. Gli indicatori relativi alle competenze in lettura e alla partecipazione degli adulti alla formazione sono quelli che più condizionano le disparità tra i Paesi analizzati.
L'Italia e il Goal 4
L’indicatore composito riferito al Goal 4 in Italia[2] migliora sensibilmente dal 2010 al 2014 grazie all’avanzamento di gran parte degli indicatori analizzati. Dal 2014, però, la tendenza positiva si arresta e poi si inverte: il peggioramento è causato dalla diminuzione della partecipazione culturale, delle competenze di base in lettura e di un più basso tasso di partecipazione alle attività educative dei bambini di cinque anni (-4,1 punti percentuali in 8 anni). Nonostante i miglioramenti registrati, l’Italia si trova ancora in una posizione di grave ritardo rispetto alla media europea per tutti gli indicatori analizzati, differenza che risulta particolarmente ampia per il tasso di istruzione terziaria, pari a 27,6% nel 2019 rispetto al 41,6% medio europeo.
Durante i mesi del lockdown, l’Istat stima che circa tre milioni di studenti di età compresa tra i 6 e i 17 anni hanno avuto difficoltà a seguire le lezioni nella modalità didattica a distanza, soprattutto per carenza o inadeguatezza dei dispositivi informatici in famiglia. Tale situazione è particolarmente accentuata nel Sud, dove interessa circa il 20% dei minori. Si tratta di un fenomeno particolarmente grave dato che la crisi aumenta la probabilità di abbandono scolastico, soprattutto nelle fasce più vulnerabili della popolazione. Questi fattori, uniti al presumibile calo dei lavoratori che partecipano ad attività di istruzione/formazione, confermano l’impatto negativo della crisi su questo Goal.
Relativamente al Target del Goal 4 dell’Agenda 2030 in scadenza al 2020, il 4.b (volto a espandere a livello globale il numero di borse di studio a disposizione dei Paesi in via di sviluppo per l’iscrizione all’istruzione superiore), non è stato possibile individuare un indicatore a livello europeo ma solo a livello nazionale. Secondo quanto rilevato dall’Istat, l’Aiuto pubblico allo sviluppo destinato a borse di studio per studenti dei Paesi in via di sviluppo è diminuito tra il 2015 e il 2016, per poi aumentare nel biennio successivo attestandosi nel 2018 a 15 milioni di dollari, il valore più alto registrato nell’ultimo quinquennio. Se questa tendenza venisse confermata nel 2020, l’Italia sarebbe in grado di centrare il Target.
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Scarica Il Rapporto ASviS 2020 “L’Italia e gli Obiettivi di sviluppo sostenibile”
di Giulia D'Agata
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