Se hai scelto di non accettare i cookie di profilazione e tracciamento, puoi aderire all’abbonamento "Consentless" a un costo molto accessibile, oppure scegliere un altro abbonamento per accedere ad ANSA.it.
Ti invitiamo a leggere le Condizioni Generali di Servizio, la Cookie Policy e l'Informativa Privacy.
In evidenza
In evidenza
Responsabilità editoriale di ASviS
Responsabilità editoriale di ASviS
Il 96% delle aziende italiane con almeno 80 dipendenti si è affidato nel 2021 a iniziative di Corporate social responsibility (Csr) e sostenibilità, erano il 92% nel 2019. E le crisi, dalla pandemia alla guerra, non sembrano rallentare questo cammino: aumenta sensibilmente la percentuale di aziende che ha già confermato il budget per il 2022 (65% rispetto al 40% del 2020); viceversa si è ridotta la quota di imprese che ha annullato o ridotto il budget (27%) o che non lo aveva pianificato in anticipo (6%). Dati che, secondo il decimo Rapporto Csr sull’impegno sociale, economico e ambientale delle aziende in Italia, promosso dall’Osservatorio Socialis e realizzato dall’Istituto Ixè, con il patrocinio tra gli altri dell’ASviS e di 34 atenei italiani, sembrano indicare una riacquistata capacità di programmazione, al di là delle dimensioni emergenziali. D’altra parte la prospettiva di una nuova crisi porta ad una previsione per il 2022 di una contrazione della spesa in Csr del 17%.
Il documento, che ogni due anni restituisce una fotografia sullo stato dell’arte della Csr in Italia e ne traccia gli sviluppi futuri, è stato presentato il 24 giugno a Roma, presso il Centro congressi del Dipartimento di Comunicazione e Ricerca sociale (CoRiS) della Sapienza. “Sembra un paradosso, ma la crisi determinata dalla pandemia ha costretto le imprese a ripensare le proprie strategie, fissando come non rinunciabili le attività legate alle responsabilità sociali, economiche e ambientali”, ha spiegato Roberto Orsi, direttore dell’Osservatorio Socialis. “Chi non vuole rimanere indietro deve spingere sempre di più sui valori della responsabilità sociale e adottarli ormai senza riserve, per stare meglio sul mercato in un mondo che cambia”.
Gli investimenti e le azioni di Csr. Più di 280mila euro (282mila euro per l’esattezza) è la media di spesa/investimento nel 2021 per le imprese italiane impegnate in azioni di Csr e negli ambiti Esg (Environmental, social and governance), con un incremento del 17% rispetto al 2019: in totale nel 2021 sono stati investiti 2 miliardi e 162 milioni di euro.
Come si stanno attivando le imprese italiane sul tema della responsabilità sociale? In primis con iniziative all’interno dell’azienda (50%), mentre al secondo posto si collocano le attività sul territorio nazionale (40%), cui seguono quelle nell'area più vicina alla sede dell’impresa (36%). In ultima posizione le iniziative per i Paesi esteri (21%), un dato che registra comunque un significativo aumento rispetto all’8% nel 2019. Molte delle imprese interpellate non si limitano a individuare un solo territorio o ambito su cui agire con attività di Csr; mediamente risultano attive su 1,5 territori o ambiti diversi, una scelta sostanzialmente costante negli anni. Ma, secondo l’Osservatorio Socialis, “oggi l’orizzonte della responsabilità sociale dell’impresa si è consolidato e si è esteso: dalle iniziative a favore del territorio e dei dipendenti si è allargato a tutte le azioni che producono e promuovono la sostenibilità ambientale e sociale. Sono entrati strutturalmente i criteri Esg, che guidano non solo le politiche di produzione e di finanziamento, ma anche le scelte di responsabilità”.
LEGGI ANCHE - DIVERSITÀ E INCLUSIONE RENDONO LE AZIENDE PIÙ COMPETITIVE SUL MERCATO
Le modalità di realizzazione. Tra le modalità di intervento più diffuse in ambito Csr, le aziende citano le azioni dirette alla sostenibilità, ovvero gli investimenti per migliorare il risparmio energetico (40%), quelli in nuove tecnologie per limitare l’inquinamento e migliorare lo smaltimento dei rifiuti (38%), le modifiche organizzative, di struttura e servizi interni (27%). Il potenziamento della raccolta differenziata (23%) è da anni in un trend di calo, presumibilmente perché ha raggiunto il suo plafond di espansione. Mediamente i settori che investono in un ventaglio più ampio di attività sono le imprese con il maggior numero di dipendenti, i settori dell'elettronica-informatica-telecomunicazioni, i servizi e il manifatturiero.
I vantaggi. Le imprese interpellate affermano che i vantaggi maggiori legati alle loro attività di Csr e sostenibilità sono il miglioramento della reputazione e dell'immagine corporate (44%), un dato che ha assunto stabilità nelle ultime quattro edizioni, l’aumento della motivazione del personale ed il conseguente miglioramento del clima interno (41%) e la crescita delle opportunità di mercato e fidelizzazione della clientela (40%). Oltre otto aziende su dieci ipotizzano che nel prossimo futuro la Csr sarà maggiormente integrata nel modello di business della propria impresa. Quale ruolo possono giocare gli investimenti del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) rispetto alle pratiche sostenibili? L’85% delle aziende italiane crede nella capacità di incentivazione del Pnrr, ma di questo segmento largamente maggioritario il 55% ha una posizione interlocutoria, ritenendola una probabilità e non una certezza.
L’edizione 2022 del Rapporto individua quattro macro-aree di attività di Csr e Sostenibilità: tutela dell’ambiente, salvaguardia del personale e dei lavoratori, iniziative per il sociale, investimenti nella corporate governance. Ebbene, le aziende esprimono valutazioni tendenzialmente migliori (8,1 su 10) per le attività a vantaggio della corporate governance e del sociale. Una convinzione confermata dalle iniziative adottate per migliorare il clima interno: per la prima volta, quest’anno tutte le imprese campione dichiarano di aver fatto almeno un'iniziativa a vantaggio del proprio personale. Tra le attività più diffuse, troviamo al primo posto, con il 38%, la formazione. Seguono poi le attività sociali nelle sedi (33%), la valutazione delle competenze per lo sviluppo di carriere (32%) e le azioni di welfare (30%). Infine, il 77% delle imprese italiane intervistate si è dotato di un codice etico, con una prevalenza nei settori metallurgico, informatico e finanziario.
di Andrea De Tommasi
Fonte immagine: 123rf/olegdudko
Responsabilità editoriale di ASviS
Ultima ora