Se hai scelto di non accettare i cookie di profilazione e tracciamento, puoi aderire all’abbonamento "Consentless" a un costo molto accessibile, oppure scegliere un altro abbonamento per accedere ad ANSA.it.
Ti invitiamo a leggere le Condizioni Generali di Servizio, la Cookie Policy e l'Informativa Privacy.
In evidenza
In evidenza
Responsabilità editoriale di ASviS
Responsabilità editoriale di ASviS
"La legge Bossi Fini va cambiata perché è mutata profondamente l’origine del fenomeno migratorio. Esso oggi ha dimensioni globali ed è sempre più correlato al dovere morale, oltre che all’obbligo internazionale, di garantire diritto di asilo a chi fugge da guerre, rischi di genocidio, catastrofe naturale, violazioni di massa dei diritti fondamentali dell’uomo."
Chi ha pronunciato questa frase? Non è facile indovinarlo, ma è Gianfranco Fini, proprio lui, coautore della legge 189 del 2002 che per vent’anni ha definito (e di fatto strozzato nella sua applicazione) le procedure dei flussi regolari di migranti verso l’Italia. Ed è una presa di posizione di una certa rilevanza, se è vero ciò che scrive Gianluca Mercuri nella Rassegna stampa del "Corriere della Sera": riportando la frase aggiunge che Fini oggi si propone come “uno dei padri naturali del melonismo”, insomma uno che a destra è ascoltato.
La dimensione globale del fenomeno migratorio cui fa riferimento l’ex leader di Alleanza nazionale si è manifestata da tempo, ma quella che è cambiata di recente è la percezione del fenomeno. Soprattutto in Italia. C’era la tentazione di sottovalutarlo, liquidarlo con frasi a effetto (“aiutiamoli a casa loro”) o con atti amministrativi di scarsa efficacia e particolarmente odiosi, come il prolungamento della permanenza dei migranti sulle navi che li avevano salvati, spesso in condizioni di estremo disagio.
Anche il ruolo dei migranti nella demografia e nell’economia italiana veniva nascosto sotto il tappeto. Nel giugno scorso, FUTURAnetwork promosse un incontro, moderato da Ferruccio de Bortoli, su “Immigrazioni e futuro demografico del Paese” con l’obiettivo di stanare i partiti, nell’imminenza della campagna elettorale, sul ruolo degli immigrati nei prossimi decenni. Cioè, per dirla brutalmente, chiedendo loro di esprimersi sulla concorde valutazione dei demografi, che occorrerebbe accogliere e radicare in Italia almeno 200mila immigrati all’anno per stabilizzare la popolazione. Fu un bel convegno, ma i partiti fecero orecchio da mercante. Solo adesso, di fronte al forte grido di allarme del mondo imprenditoriale sul fatto che la mancanza di manodopera compromette la nostra economia, si comincia a parlare di una revisione del “decreto flussi” cioè dei provvedimenti periodici che in base alla Bossi–Fini dovrebbero definire gli ingressi dei migranti regolari.
Sulle ragioni per le quali la legge attuale va riformata si è scritto tanto ed è inutile entrare nel merito. Ma un punto va sottolineato. La legge ipotizza che l’imprenditore che ha bisogno di un lavoratore, dopo aver accertato che non riesce a trovarlo attraverso i canali italiani, contatti un extracomunitario che dopo adeguata trafila burocratica arriva in Italia a lavorare. In realtà è una finzione, perché quasi tutti gli immigrati che per questa via sono riusciti a regolarizzarsi in realtà erano già in Italia e hanno “fatto finta” di arrivare dall’estero.
Le ipotesi di riforma della legge allentano le restrizioni, ma sostanzialmente non cambiano questo meccanismo: in Paesi selezionati (anche in base alla loro disponibilità a riaccogliere gli irregolari) verrebbe selezionata e formata manodopera qualificata a cui concedere il permesso di lavoro in Italia.
Nel nostro Paese però, secondo i più recenti dati della Fondazione Ismu, ci sono oggi almeno 500mila immigrati irregolari: persone alle quali è stato negato lo status di rifugiato e che dovrebbero essere rimpatriate, oppure “migranti economici” arrivati in cerca di miglior fortuna da Paesi non considerati a rischio, popolo dei barconi che puntava al Nord Europa ed è rimasto bloccato in Italia; insomma, varie tipologie che costringono queste persone alla precarietà, in molti casi impediscono di conseguire un contratto di lavoro, o addirittura spingono a ingrossare le fila della delinquenza organizzata. Nessuno ha mai detto come si vuole prosciugare questo serbatoio di disperazione.
LEGGI ANCHE – ACTIONAID-OPENPOLIS: ACCOGLIENZA MIGRANTI IN ITALIA UN SISTEMA DA RIPENSARE
Comunque lo si attui, il potenziamento dei flussi per far fronte alle esigenze del sistema produttivo italiano (e anche dell’assistenza familiare, considerando l’elevata incidenza di colf e badanti tra gli irregolari) può parzialmente attenuare la pressione su nostro Paese, ma non risolverà il problema denunciato dallo stesso Fini: la dimensione globale dell’immigrazione. Perché c’è oggi una spinta così forte a cambiare Paese? Fondamentalmente per tre ragioni. Vediamole più in dettaglio.
Continua a leggere su asvis.it
di Donato Speroni. Ha collaborato Maddalena Binda.
Responsabilità editoriale di ASviS
Ultima ora