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Responsabilità editoriale di ASviS
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di Flavio Natale
A oggi, produciamo a livello globale circa 2,2 miliardi di tonnellate di spazzatura all’anno. Per visualizzare questo numero, supponiamo di inserire 2,2 miliardi di rifiuti all’interno di ipotetici bidoni, mettendoli poi in fila uno dopo l’altro. La fila si estenderà per circa quarantamila chilometri, una lunghezza pari alla circonferenza della Terra. Non stupisce dunque sentire la Banca mondiale avvertirci che, continuando di questo passo, i rifiuti potrebbero aumentare del 70% (circa 3,4 miliardi di tonnellate) entro il 2050.
I principali responsabili di questa produzione massiccia sono naturalmente i Paesi ad alto reddito: sebbene rappresentino solo il 16% della popolazione globale, generano più di un terzo (34%) dei rifiuti. La regione dell'Asia orientale e del Pacifico segue con un quarto della produzione globale (23%). Ma l’attenzione (soprattutto per il futuro) deve essere orientata altrove, soprattutto verso l'Africa sub-sahariana, i cui rifiuti dovrebbero più che triplicare entro il 2050, e l’Asia meridionale, dove raddoppieranno.
Questa previsione è particolarmente preoccupante per due ragioni. La prima è che i Paesi in via di sviluppo sono anche quelli dove il riciclo funziona peggio. Sempre secondo la Banca mondiale, nei Paesi ad alto reddito più di un terzo dei rifiuti viene recuperato attraverso il riciclo e il compostaggio. Questa percentuale crolla al 4% nei Paesi a basso reddito.
Inoltre, parliamo di nazioni già stracolme di rifiuti, nazionali e internazionali. A Dakar, capitale del Senegal, c’è la discarica di Mbeubeuss, che si gioca con quella di Bantargebang, in Indonesia, il primato della discarica più grande al mondo.
Aperta nel 1968, Mbeubeuss accoglie ogni giorno più di 1.300 tonnellate di rifiuti (circa 475mila tonnellate all’anno). Questa enorme montagna di spazzatura viene scalata ogni giorno da lavoratori che vivono nella discarica e che frugano alla ricerca di rame, plastica, ferro, alluminio per poi riutilizzarli o rivenderli. Le condizioni sanitarie sono pessime, e la costante respirazione di fumi tossici espone i lavoratori a numerose malattie.
Stesso discorso vale per Bantargebang, la discarica indonesiana dove i raccoglitori di rifiuti, noti come "pemulung", si arrampicano per cercare scarti utili da rivendere. Secondo alcuni report, nel 2018 la montagna arrivava a oltre 40 metri, un’altezza particolarmente pericolosa – tant’è che nel 2017 un "pemulung" è rimasto soffocato dopo essere rimasto intrappolato sotto una valanga di spazzatura.
La più grande discarica di rifiuti elettronici (o "e-waste") si chiama invece Agbogbloshie e si trova nei dintorni di Accra, capitale del Ghana. Ad Agbogbloshie ci sono a oggi più di 250 milioni di tonnellate di rifiuti elettronici, provenienti per l'85% dall’Europa. Si tratta di una vera e propria “città nella città”, dove vivono decine di migliaia di persone, che ormai hanno fatto dell’economia dell’"e-waste" la loro principale fonte di sostentamento.
C’è da ricordare inoltre che “rifiuti” è sinonimo di “emissioni”. La Banca mondiale stima che nel 2016 siano state generate dal trattamento e dallo smaltimento dei rifiuti 1,6 miliardi di tonnellate di anidride carbonica, pari a circa il 5% delle emissioni globali. Per questo, secondo Silpa Kaza, specialista in sviluppo urbano della Banca mondiale: “Il costo per affrontare gli impatti è di gran lunga superiore al costo per lo sviluppo e il funzionamento di sistemi per la gestione dei rifiuti. Le soluzioni esistono”, ha proseguito “e noi possiamo aiutare i Paesi ad arrivarci”.
Che aria tira in Italia
Nel nostro Paese non ce la passiamo molto bene dal punto di vista della produzione di rifiuti: il "Sole 24 Ore" riferisce che “il tasso di crescita dei rifiuti prodotti dalle imprese nel decennio 2010-20 è arrivato al 21,5%, mentre si è registrata una flessione del Pil dell’8,2%”. In Francia, per dire, i dati sono invertiti: i rifiuti prodotti in dieci anni sono diminuiti del 4,4%, mentre il Pil è cresciuto del 4,1%. In Germania, alla crescita della quantità di rifiuti (8,9%) è corrisposto però un incremento del 12,2% del Pil.
“Per ridurre le distanze dalle migliori esperienze europee è necessario potenziare i sottoprodotti, l'end of waste e il recupero energetico”, ha detto Donato Berardi, direttore del think tank di Ref ricerche, che ha studiato approfonditamente il tema.
I settori che stanno messi peggio sono arredamento, food & beverage e tessile (basti pensare che nel 2020, l'industria manifatturiera italiana ha generato circa 117 chilogrammi di rifiuti per mille euro di Pil, a fronte degli 86-87 chilogrammi di Francia e Germania). Gli scarti della lavorazione, gli imballaggi e i fanghi degli impianti di depurazione risultano i rifiuti più diffusi a livello nazionale.
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