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In evidenza
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Responsabilità editoriale di ASviS
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"Attendere" significa rivolgere l'animo verso qualcosa. I suoi significati implicano ascolto, attenzione, applicazione.
L’articolo di Marco Belpoliti, uscito su la Repubblica nel 2018 con il titolo “Elogio dell’attesa nell’era di Whatsapp”, ha ispirato quasi la metà dei maturandi di quest’anno nella prima prova scritta, precisamente il 43,4% secondo i dati Rai. Un tema affascinante, quello del tempo, in un’epoca in cui tutto corre veloce, con una frenesia inarrestabile che ci vuole sempre efficienti e che ci provoca ansia quando non lo siamo.
Mentre gli esami di maturità proseguono, ci ritroviamo anche noi, non solo i giovanissimi, a riflettere su come la rapidità del nostro mondo si rifletta sulla vita quotidiana di ciascuno. E ci si accorge che non si ha più il tempo di fare niente, in una faticosa ricerca del tempo libero, pur facendo tutto, con ricadute particolarmente pesanti soprattutto per le donne: la spesa, la gestione della casa, il lavoro, portare i figli a scuola e alle altre numerose attività (perché anche i bambini devono essere efficienti), e poi come secondo lavoro rispondere ai messaggi sul telefono, affannarsi dietro alle “chat di classe”, gestire la seconda vita sui social. E allora si cerca di fare tutto, rischiando di fare tutto male: una spesa poco programmata che diversamente aiuterebbe a ridurre gli sprechi, una minore manutenzione nelle case dove gettare è più facile che aggiustare, una generazione che cresce con ritmi che rischiano di escludere gioco e creatività, e anche una incredibile quantità di informazioni assorbite parzialmente o distorte.
Si chiama infodemia, è l’eccesso di informazioni, talvolta non vagliate con accuratezza, che rende difficile orientarsi su un determinato argomento. Una sovrabbondanza che crea confusione tra notizie vere e false, che porta a fake news e fake truths. È la malattia che genera la cultura antiscientifica: anche se esiste una verità sorretta dalla scienza, si preferisce credere a un’altra verità che corrisponde alle convinzioni personali e al “sentito dire”, anziché dedicare del tempo per approfondire e arrivare alla verità. Un tema che è stato anche al centro dell’ultima riunione della Consulta dell’ASviS.
La Consulta, che riunisce presidenza, direzione scientifica, segreteria generale, coordinatori e referenti dei Gruppi di lavoro, Team ed esperti per analizzare l’andamento dell’Alleanza e contribuire all’elaborazione delle linee strategiche (qui lo statuto dell’ASviS), ha sollevato la preoccupazione per il diffondersi di una cultura antiscientifica a causa della minaccia che rappresenta per lo sviluppo sostenibile del Paese. Le scelte politiche, infatti, si basano sull’opinione pubblica ed è da lì che bisogna ripartire, contrastando la non verità scientifica.
La cultura antiscientifica rischia di creare una profonda spaccatura nella società: ad esempio, tra chi crede nell’assoluta necessità della transizione ecologica e chi non ci crede o tende a frenarla. Da un lato i giovani sulla scia dei Fridays for future, gli adulti ambientalisti, le organizzazioni della società civile che hanno deciso di guardare lontano per garantire un futuro all’umanità all’interno di un Pianeta in buona salute, le imprese che hanno capito che la sostenibilità è un vantaggio, coloro che hanno compreso l’urgenza di accelerare, ma anche gli attivisti di movimenti come Extinction Rebellion e Ultima generazione, che hanno scelto modalità di protesta non sempre condivisibili. Secondo un recente sondaggio di Radar Swg, “la maggioranza degli italiani (59%) non approva le manifestazioni e le azioni degli attivisti ambientali, sulla cui efficacia c’è ancora molto scetticismo. Ne criticano il metodo, dunque, non i fini”. E nel 37% degli 800 intervistati che hanno dichiarato di condividere solo parzialmente le modalità di Ultima generazione, c’è anche un 3% che le vorrebbe più violente. Riguardo invece alle strategie per sensibilizzare l’opinione pubblica sulla tutela ambientale, dalle risposte è emersa la preferenza per un’educazione dedicata nelle scuole (46%), una comunicazione accessibile in grado di spiegare i concetti scientifici (37%) e la diffusione di notizie equilibrate e accurate sui media (31%).
Dall’altro lato della spaccatura della società ci sono i negazionisti, chi parla di “incubo green” come causa di impoverimento e attacca le “ossessioni” ambientaliste, imprese miopi che continuano a dedicarsi solo al profitto di breve termine, ma anche chi, pur credendo nella necessità della transizione, tende a rallentarla in nome della difesa delle industrie, e cittadini e una parte della politica che guardano al breve termine perché, pur di fronte alle evidenze, ancora non hanno colto l’urgenza della sfida climatica o sono spaventati dai costi della transizione, peraltro ben superiori a quelli dell’inazione.
Intanto, mentre in Parlamento arriva un disegno di legge di “Disposizioni sulla protezione del clima” in cui si afferma che “anche il nostro Paese, come già la Germania, la Francia, la Spagna e il Regno Unito, oltre la stessa Unione europea, si doti di una legge per la protezione del clima”, come l’ASviS chiede da tempo, il Governo ha votato contro la proposta di Nature Restoration Law dell'Unione europea, la legge per il ripristino degli habitat naturali nell’ambito del Green deal, chiedendo maggiore flessibilità. Il 27 giugno, la Commissione Ambiente del Parlamento europeo ha confermato la sua divisione sullo stesso testo, con 44 favorevoli e 44 contrari, il che non ha consentito di approvare una relazione finale comune, rimandando a un’ultima opportunità di adozione del testo con la plenaria del Parlamento del 12 luglio. Così, a meno di un anno dalle prossime elezioni legislative in Europa, rischia di essere messo in discussione il futuro di una parte importante del Green deal.
Eppure “sono sotto gli occhi di tutti le conseguenze del cambiamento climatico nella vita delle popolazioni, sempre più frequenti e pervasive”, come ha ricordato il Capo dello Stato, Sergio Mattarella, nel suo discorso al simposio Cotec Europa. E siamo anche circondati dalle evidenze scientifiche: secondo le stime Oms tra il 2030 e il 2050 ci potrebbero essere 250mila morti in più ogni anno a causa dei cambiamenti climatici, come raccontiamo in questo articolo su FUTURAnetwork; il livello degli oceani è cresciuto di 98 millimetri dal 1993, come recentemente illustrato da un grafico della Nasa; l’orologio del declino planetario sta scorrendo troppo velocemente, come raccontano le migliaia di pagine dei rapporti dell’Ipcc, il Panel intergovernativo sui cambiamenti climatici (solo la seconda parte del Sixht assessment report raggiunge nel suo rapporto completo 3.068 pagine!)
E la difficoltà è anche questa, una sorta di “infodemia scientifica” che rende complicato orientarsi tra tutte le informazioni disponibili. Ma attenzione, non si tratta di un problema di quantità di informazioni scientifiche: scienza e conoscenza, dopotutto, sono la base del progresso umano. Il problema sta invece da un lato nel sovrapporsi di scienza veritiera e di presunti dati scientifici e teorie false che andrebbero esaminati alla fonte, dall’altro nell’inadeguatezza della comunicazione che dovrebbe andare verso un giornalismo più scientifico, in grado di sintetizzare la gran mole di informazioni in un racconto completo sulla complessità dei fenomeni e di fare chiarezza e ordine.
Positivo, in tal senso, l’avvio di programmi come "Noos – L’avventura della conoscenza", la nuova trasmissione di Alberto Angela dedicata alla divulgazione scientifica, in onda ogni giovedì su Rai Uno, che prende il testimone dal Superquark del padre Piero. Interessanti anche le iniziative di contrasto alle fake truths come “Cattivi scienziati”, sito contro la disinformazione e la pseudoscienza in ambito sanitario: “è sempre più facile produrre scienza falsa per scopi fraudolenti, sia fingendo di star producendo avanzamenti nella ricerca ordinaria, sia cercando di far passare le pseudoscienze come basate su dati solidi. Ciarlatani su internet, giornalisti, politici o aspiranti tali, magistrati e persino ormai gli stessi ricercatori possono per interesse produrre dati falsi, teorie infondate, balle pericolose, e con ogni mezzo – compresa la pubblicazione su qualche rivista scientifica – pretendere che siano veri”.
Il professore Telmo Pievani, nel suo editoriale “L’antiscienza è una questione di presunzione”, afferma che
“le persone che sviluppano forte opposizione contro l’evidenza scientifica hanno conoscenze oggettive sul tema piuttosto basse e una conoscenza soggettiva elevata. In pratica, presumono di aver capito tutto. In inglese si chiama over confidence: un effetto paradossale noto nelle scienze cognitive. Meno tu sai, più presumi di sapere diventando presuntuoso e arrogante. Se così fosse, allora contrapporre i fatti e i numeri non basterebbe. Le campagne informative vanno bene, ma servirebbe smontare la presunzione di sapere e soprattutto spiegare i contenuti e il metodo scientifico”.
Nell’era in cui tutto corre, è più semplice credere nel “sentito dire” e assumere per giusto ciò che ci fa comodo. E invece l’attesa nei confronti della verità è preziosa. Dedicare del tempo alla conoscenza, all’approfondimento di metodi e contenuti, al dibattito, rappresenta la chiave fondamentale per contrastare la diffusione di una cultura antiscientifica. Tutti coloro che hanno a cuore lo sviluppo sostenibile devono impegnarsi per costruire alleanze tra forze sociali e mondo scientifico per presentare una narrazione chiara e fondata che aiuti l’opinione pubblica a orientarsi, guardando ai problemi, ma anche alle soluzioni già esistenti e a quelle a cui dedicare la ricerca.
Se attendere significa rivolgere l'animo verso qualcosa, con attenzione e applicazione, saremo anche noi capaci di aspettare per conoscere la “vera verità”, rivolgendo l’animo alla salute del Pianeta e quindi al futuro della stessa specie umana?
di Flavia Belladonna
Responsabilità editoriale di ASviS
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