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Responsabilità editoriale di ASviS
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Nel nuovo rapporto “Risk & resilience: the role of cities in tackling the climate crisis”, pubblicato il 20 settembre, gli scienziati del Climate crisis advisory group (Ccag), hanno dichiarato che, data la crisi ambientale in atto, “la futura pianificazione urbana deve avere come principio guida la resilienza all’aumento delle temperature”.
Secondo il team di esperti, oltre la metà delle 1.146 città più popolose al mondo rischia di affrontare disastri naturali legati a eventi meteorologici estremi. Nel 2018, il 59% del totale era ad alto rischio, in particolare per quanto riguarda cicloni, inondazioni e siccità. Solo le eruzioni vulcaniche e i terremoti sono “relativamente indipendenti” dal cambiamento climatico. Ciascuno di questi territori, avverte il Rapporto, ospita almeno 500mila persone, per un totale di 1,4 miliardi di persone.
“Che sia per scelta o necessità, le città sono diventate la casa principale dell’umanità”, sottolinea il Ccag. A livello globale, il 56% della popolazione (4,4 miliardi di persone) vive in nuclei urbani. Si stima che entro il 2030 queste aree ospiteranno il 60% delle persone, ed entro il 2050 quasi il 70%. Le città attraggono inoltre fino al 50% dei migranti in fuga da conflitti o disastri naturali.
Nonostante occupino meno del 2% della superficie terrestre, gli agglomerati urbani rappresentano due terzi del consumo energetico mondiale e sono responsabili del 70% delle emissioni di rifiuti e gas serra. Ma l’urbanizzazione, fa notare il Ccag, può anche essere una forza positiva, stimolando la produttività (le città generano l’80% del Pil mondiale), la crescita e la creazione di posti di lavoro.
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Secondo il Ccag, è necessario modificare il modo in cui pensiamo i nuclei urbani, rafforzando la resilienza sociale, modernizzando le normative edilizie, adottando strategie per ridurre gli effetti delle “isole di calore”, aree popolose caratterizzate da temperature più elevate rispetto alle vicine zone rurali. “In tutte le parti del mondo abbiamo bisogno di città resilienti, che mantengano i loro cittadini al sicuro: è importante che le infrastrutture siano adatte a un mondo a zero emissioni nette”.
Il Rapporto include una serie di raccomandazioni, come la riforestazione delle aree cittadine (per proteggere i residenti dal caldo estremo e aiutare ad assorbire la CO2), le ristrutturazioni ad alta efficienza energetica, la creazione di “zone a basse emissioni” attraverso la riduzione del traffico automobilistico. Un esempio recente: la Federazione indipendente delle imprese del Belgio ha invitato i leader politici a “superare le divisioni regionali e lavorare insieme” per risolvere il problema degli enormi ingorghi stradali che rendono difficoltosa la vita dei cittadini. Questi ingorghi sono costati all’economia belga 4,8 miliardi di euro solo nel 2022, “circa la stessa quantità di denaro che il Paese spende per la difesa nazionale”. Bisogna però anche “smettere di costruire sulle coste”, aggiunge il Ccag, poiché molte delle zone vicine ai corsi fluviali o al mare rischiano di subire un’erosione continua e incrementale da qui al 2100.
Quelli richiesti dal Ccag sono dunque cambiamenti strutturali e sistemici. Per le città più antiche, questo vuol dire “ripensare e reinventare” il sistema urbano, rafforzando la resilienza e modernizzando gli edifici obsoleti. Per i nuclei nuovi e in espansione significa “progettare la resilienza in ogni settore dello sviluppo futuro”.
“Se riusciamo a raggiungere zero emissioni nette nelle nostre città”, conclude il Rapporto, “decarbonizzando i sistemi di trasporto e l’approvvigionamento energetico, migliorando l’efficienza e gestendo i rifiuti, possiamo spostare la traiettoria delle emissioni ed evitare aumenti eccessivi delle temperature. Le città sono un campo di battaglia fondamentale”.
di Flavio Natale
Fonte copertina: studioaccendo, da 123rf.com
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