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Responsabilità editoriale di ASviS
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Il tema della finanza climatica sarà tra gli argomenti che animeranno il dibattito e le tensioni della Cop 28 di Dubai – qui un focus su cosa aspettarci -, al via in queste ore (dal 30 novembre al 12 dicembre). In particolare, si discuterà dei 100 miliardi di dollari che ogni anno i Paesi ricchi avrebbero dovuto indirizzare verso quelli in via di sviluppo attraverso lo strumento del Green climate fund per finanziare la lotta alla crisi climatica. Un obiettivo assunto nel lontano 2009, con la Cop di Copenaghen, riproposto con l’Accordo di Parigi e che non è stato raggiunto come deciso entro il 2020, dato che in quell’anno il fondo toccò la cifra di 83,3 miliardi di dollari.
Per capire se sono stati compiuti dei passi avanti su questo strumento, che tra l’altro sarà rivisto nel 2025 quando, secondo l’Accordo di Parigi, dovrà essere adottato un nuovo obiettivo di finanza climatica, il think tank Odi ha esaminato i flussi finanziari pubblici destinati dai Paesi industrializzati al Green climate fund nell’anno 2021. Come si evince dalla seguente tabella, secondo lo studio “A fair share of climate finance?”, in base alla “giusta quota” – stimata su quante emissioni sono state rilasciate nel corso della storia, sul reddito nazionale lordo e sulla dimensione della popolazione - che ogni nazione deve versare in tema di attività di mitigazione, bisogna intensificare gli sforzi. Tra i “peggiori” Paesi troviamo Stati Uniti, Australia, Spagna, Canada e Regno Unito, mentre Francia, Germania e altri Paesi del Nord Europa risultano essere più che in linea con quanto promesso nelle scorse Cop sul clima.
Lo studio, inoltre, analizza i flussi finanziari del Green climate fund rivolti verso l’attività di adattamento. Sull’argomento va ricordato che l’Accordo di Parigi precisa che i finanziamenti per la mitigazione e quelli per l’adattamento devono essere in “equilibrio”. È sulla base di questa premessa che durante la Cop 26 di Glasgow si decise di raddoppiare i soldi per l’adattamento entro il 2025, rispetto al 2019. Tradotto: significa passare dai 20 miliardi di dollari (2019) ai 40 miliardi. La tabella che segue mostra proprio lo stato dell’arte sull’adattamento. La situazione è simile a quella sulla mitigazione anche se qui, a essere virtuosi, sono 11 Paesi anziché otto.
Dai risultati appare chiaro che gli Stati Uniti sono i principali responsabili del fallimento collettivo nel raggiungere gli impegni assunti: lo studio sottolinea che hanno versato 34 miliardi di dollari in meno per la mitigazione e 13 miliardi di dollari in meno per l’adattamento.
Il lavoro di Odi, in generale, evidenzia che nel periodo 2011-2020 il gap finanziario per il clima è pari a 409,8 miliardi di dollari e che bisognerebbe raccogliere una cifra pari a 4 mila miliardi di dollari entro il 2030 per riuscire a stare al di sotto di 1.5°C (inteso come aumento medio della temperatura rispetto al periodo preindustriale).
Per quanto riguarda l’Italia, il report descrive un Paese poco virtuoso: solo il 64% dei finanziamenti per la mitigazione e il 62% per l’adattamento sono stati infatti forniti. Alla luce di questi risultati, il think tank italiano per il clima “Ecco” ha elaborato una serie raccomandazioni in grado di mettere l’Italia al passo con gli impegni finanziari assunti. Per Ecco durante la Cop 28 il nostro Paese deve:
Nello specifico, per colmare il deficit sull’attività di adattamento di 720 milioni di dollari all’anno, Ecco raccomanda all’Italia di:
“In vista dell’imminente inizio della Presidenza Italiana del G7 e a dimostrazione di una leadership dell’Italia sul clima, l’Italia dovrebbe sottoscrivere l’iniziativa della Presidenza di Cop 28 sulla Climate relief, recovery, and peace declaration e dare seguito con annunci concreti all’intenzione di contribuire in maniera equa alla lotta ai cambiamenti climatici come promesso l’anno scorso alla Cop 27”, conclude Ecco.
di Ivan Manzo
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