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In evidenza
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Responsabilità editoriale di ASviS
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Secondo una ricerca pubblicata su Science Direct e rilanciata dal Guardian, l’alto livello di inquinamento atmosferico di Roma ha impatti significativi sulla salute mentale dei suoi cittadini. La notizia arriva come un fulmine a ciel sereno, o quasi. Federica Nobile, ricercatrice del dipartimento di epidemiologia del Servizio sanitario regionale del Lazio, tra le autrici dello studio, ha spiegato al quotidiano inglese il senso della ricerca: “Studi recenti hanno collegato l’inquinamento atmosferico allo sviluppo di disturbi psichiatrici, tra cui depressione, ansia ed episodi psicotici. Tuttavia, tutte queste associazioni sono state studiate principalmente in piccoli gruppi, rendendo i loro risultati difficili da generalizzare”.
Nello studio, invece, è stata presa sotto esame un’ampia fetta di popolazione. Il team di Nobile si è basato sui dati provenienti dal censimento di oltre 1,7 milioni di residenti a Roma nel 2011; poi ha confrontato questi dati con le informazioni sull'assicurazione medica e sanitaria pubblica. Le cartelle cliniche sono state analizzate per i successivi otto anni, per identificare problemi di salute mentale, ricoveri, uso di antipsicotici, antidepressivi o stabilizzatori dell’umore. Questi dati sono infine stati confrontati con i livelli di inquinamento atmosferico e del traffico nei corrispondenti quartieri di Roma, inserendo anche altri fattori che possono contribuire a problemi di salute mentale, quali povertà, disoccupazione, livello d’istruzione. Il team ha scoperto “correlazioni elevate” tra aree inquinate e sviluppo di forme di schizofrenia, depressione e disturbi d’ansia. “L'esposizione media annuale dei residenti a Roma alle polveri sottili (in particolare Pm 2,5) è più di tre volte superiore ai livelli considerati sicuri dall'Oms”, ha detto Ioannis Bakolis, professore del King's College di Londra, intervistato dal Guardian. “Ridurre l’inquinamento atmosferico secondo le linee guida dell’Oms potrebbe non solo migliorare la salute del cervello, ma anche diminuire la domanda di servizi psichiatrici già sovraccarichi, in particolare dopo la pandemia”.
Il problema dell’inquinamento atmosferico in Italia è più serio di quanto si possa pensare. Secondo uno studio prodotto dall’European environment agency (Eea), il nostro Paese si colloca al secondo posto tra gli Stati europei con il maggior numero di decessi. Se nel 2021 sono morte oltre 250mila persone in Europa a causa dell’esposizione a livelli eccessivi di Pm 2,5, 46.800 sono stati i decessi in Italia, dato inferiore solo alla Polonia (47mila). A queste morti, inoltre, vanno aggiunte le 11.300 causate dal biossido di azoto (l’Italia si piazza anche qui al secondo posto, dopo la Turchia) e le 5.300 generate dall’esposizione a breve termine all’ozono. Gli Stati europei più salubri sono Islanda, Finlandia, Svezia, Norvegia ed Estonia. L’Eea segnala infine che dal 2005 al 2021 il tasso di decessi in Europa è diminuito del 41%, ma i livelli restano comunque troppo alti.
Se esistono i problemi, però, esistono anche le risposte. Le principali riguardano gli strumenti (ormai classici) per la riduzione dell’inquinamento – autovetture elettriche, energie rinnovabili, industrie meno inquinanti – oltre alla cattura e stoccaggio dell’anidride carbonica che ha mostrato finora risultati altalenanti. Ma ci si muove anche sul fronte monitoraggio.
Impianti di Ccs sono già attivi in varie parti del mondo, con risultati altalenanti. Alto costo energetico e rischio microsismico tra gli ostacoli. Ma secondo l’amministrazione Biden in alcuni settori sono indispensabili.
Gretacar, progetto sviluppato dalla società lucana Ecosud e vincitore dell’edizione 2023 del Premio Giusta transizione dell’ASviS, è ad esempio uno strumento innovativo di monitoraggio ambientale che permette a ogni cittadino di installare sul proprio veicolo una stazione mobile, capace di raccogliere informazioni sulla qualità dell’ambiente, inviare segnalazioni sulle problematiche riscontrate e condividere dati in tempo reale. Altro sistema di monitoraggio per la qualità dell’aria è lo European air quality index, strumento tramite cui gli utenti possono monitorare i livelli di emissioni in qualsiasi località europea sulla base di informazioni costantemente aggiornate, provenienti da oltre 3.500 stazioni di monitoraggio.
Ma non esiste solo l’inquinamento atmosferico, anche se è il più conosciuto e discusso. Come fa notare Openpolis, che ha analizzato recenti dati Istat, l’inquinamento acustico è un “fenomeno significativo e troppo spesso sottovalutato”, e secondo la European environmental agency, l’esposizione prolungata a un rumore forte “può causare problemi quali insonnia, stress, difficoltà nello sviluppo cognitivo e patologie metaboliche e cardiovascolari”.
Questa condizione riguarda almeno un quinto della popolazione europea, soprattutto le classi socioeconomiche più svantaggiate. E non sono solo le persone a esserne colpite. Gli animali, e in particolare quelli che utilizzano i suoni per comunicare (come rane e vari tipi di uccelli) vengono fortemente disturbati dall’inquinamento sonoro.
Il problema, sottolinea l’Eea, non sono solo i decibel alti, ma l’esposizione continua a questi rumori, specialmente durante la notte. Circa 113 milioni di europei sono esposti quasi perennemente a un inquinamento acustico di almeno 55 decibel (il volume di una normale conversazione), mentre 22 milioni di persone a rumori elevati causati dal passaggio di ferrovie, quattro milioni al traffico aereo e meno di un milione alle attività industriali.
Un problema, anche questo, particolarmente sentito in Italia, al primo posto in Europa per inquinamento acustico insieme a Liechtenstein e Lussemburgo. Nel nostro Paese il 65% delle città è sottoposto a un rumore superiore ai 55 decibel, sia durante il giorno che durante la notte (e il 5% dei nuclei urbani a un livello anche superiore). Secondo uno studio condotto da Amplifon e Aiesec Milano è la città più rumorosa d’Italia (65,31 dB), seguita da Lecce (65,24 dB) e Verona (61 dB). Le città meno rumorose risultano invece Torino (48,92 dB), Cremona (51,57 dB) e Venezia (53,69 dB).
Amsterdam sta provando a proporre una soluzione all’inquinamento acustico delle sue strade. Per disincentivare i conducenti rumorosi, nella capitale olandese sono stati installati degli autovelox che segnalano i rumori troppo alti. Queste stazioni misurano i decibel dei veicoli in transito attraverso quattro microfoni in grado di individuare il punto d’origine del suono. Se i decibel sono troppo elevati, scatta la multa: 280 euro.
Come se non bastasse, c’è anche l’inquinamento luminoso. Secondo lo studio di un team di biologi dell’Università di Exeter, nel Regno Unito, l’illuminazione artificiale del pianeta sta crescendo di circa il 2% all’anno, creando un impatto sulla natura che “può essere paragonato a quello del cambiamento climatico”.
“I livelli ormonali, i cicli riproduttivi, le attività e la vulnerabilità di molte specie vengono profondamente influenzati”, si legge in una ricerca pubblicata nel 2021 sulla rivista Nature ecology and evolution. Questi effetti vanno da una riduzione dei processi di impollinazione a una germogliazione precoce degli alberi al disorientamento delle tartarughe marine a causa dell’inquinamento luminoso degli hotel costieri.
Il team, raccogliendo 126 studi sul tema, ha dimostrato la vasta entità del problema: in tutte le specie animali esaminate, sono stati registrati livelli ridotti di melatonina – ormone che regola i cicli del sonno – a causa della luce artificiale notturna. E anche le loro abitudini sono cambiate: ad esempio i roditori, che si nutrono principalmente di notte, restano attivi per periodi sempre più brevi. Secondo gli scienziati questo trend è destinato a peggiorare, dal momento che “le luci stanno diventando sempre più intense”, a causa del passaggio dalle lampadine color ambra ai più economici (ma più luminosi) Led bianchi.
Sono novemila i satelliti attualmente in orbita, ma entro il 2030 potrebbero arrivare a 60mila. Molti quelli inattivi, in aumento rottami e rischi di collisioni e incidenti. La proposta di un gruppo di scienziati.
Se l’inquinamento luminoso può essere paragonato al cambiamento climatico, gli strumenti per contrastare il problema, fa notare Kevin Gaston, professore presso l’Environment and sustainability institute dell’Università di Exeter, sono molto più economici. “Se le persone usassero meno luci, ciò significherebbe costi inferiori, meno elettricità e minori emissioni. Ma servirebbe un cambio di mentalità. Al centro di tutto ciò c’è un bisogno umano profondamente radicato di illuminare la notte. In un certo senso abbiamo ancora paura del buio”.
Anche i nostri cieli, naturalmente, ne risentono. Secondo uno studio pubblicato su Science, basato su oltre 50mila osservazioni di scienziati in tutto il mondo, l’inquinamento luminoso sta rapidamente riducendo il numero di stelle visibili a occhio nudo. La ricerca suggerisce che le località che contano attualmente 250 stelle da poter ammirare nel cielo ne avranno solo cento tra circa 18 anni. “Se questa tendenza continuerà, sarà molto difficile vedere qualcosa nel cielo, anche le costellazioni più luminose. La cintura di Orione prima o poi inizierà a scomparire”, ha commentato Christopher Kyba, del Centro di ricerca tedesco per le geoscienze e tra gli autori dello studio. Alcuni scienziati hanno perciò richiesto ai governi azioni immediate per garantire cieli più puliti: tra queste, il divieto di proliferazione per le “megacostellazioni di satelliti” come Starlink di Elon Musk.
In conclusione: inquinamento atmosferico, ma anche acustico e luminoso, sono realtà tangibili che influiscono sulla vita degli esseri umani come di ogni altro essere vivente. E senza invertire il trend con il tempo le cose potranno solo peggiorare. Intanto, un gruppo di astronomi si è già portato avanti con il lavoro, coniando un neologismo per descrivere la frustrazione causata dalla sempre maggiore assenza di buio: “noctalgia”, ovvero il “profondo senso di perdita della notte”.
Di Flavio Natale
Responsabilità editoriale di ASviS
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