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In evidenza
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Responsabilità editoriale di ASviS
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“Donne resilienti costruiscono società resilienti” è il messaggio centrale del Rapporto “Empowering women for the good of society: gender-based resilience” dell’Unesco, l’Organizzazione delle Nazioni unite per l’educazione, la scienza e la cultura. La resilienza è definita come la capacità di un individuo o di una società di “resistere o riprendersi velocemente da una crisi” e non può essere raggiunta senza garantire la parità di genere perché i divari e le discriminazioni indeboliscono un Paese, riducendo le possibilità di adattarsi ai cambiamenti.
L’obiettivo della pubblicazione dell’Unesco, lanciata a dicembre 2023 a San Paolo (Brasile) in occasione del Global Forum against racism and discrimination, è fornire un quadro di riferimento per misurare la resilienza di genere attraverso l’analisi di indicatori legati alla tutela dei diritti umani e alla partecipazione femminile nell’educazione, nella scienza, nel lavoro e nella politica.
Il Rapporto dedica particolare attenzione alla scarsa presenza delle donne nei settori, come la digitalizzazione e l’intelligenza artificiale, che stanno modificando la nostra vita quotidiana. Nel 2020 a livello globale le donne erano il 26% delle persone impiegate in ambito di ricerca e sviluppo dei dati e dell’intelligenza artificiale, percentuale che scende al 12% per il cloud computing, l’insieme di servizi informatici offerti tramite Internet. Nello stesso anno le donne costituivano solo il 14% degli autori di articoli peer-reviewed sull’intelligenza artificiale pubblicati a livello globale. Anche in Italia si registra una ridotta partecipazione femminile in questi campi: come sottolinea il Rapporto ASviS 2023, nel 2022 solo il 19% delle persone occupate nel settore Ict (Information communication and technology) era donna.
Questi divari, sottolinea il documento Unesco, hanno origine negli stereotipi di genere secondo cui le donne sarebbero “naturalmente adatte” agli ambiti umanistici, mentre gli uomini sarebbero più portati per lavori tecnici e scientifici. Gli stereotipi hanno un impatto sulle scelte del percorso di studio, riducendo la fiducia delle ragazze nelle proprie capacità e portando le famiglie a investire meno nell’educazione delle figlie.
Anche l’occupazione femminile risente degli stereotipi di genere: come sottolinea il Rapporto, a livello globale una persona su tre ritiene che, in caso di scarsità di posti di lavoro, gli uomini abbiano più diritto di trovare un’occupazione rispetto alle donne.
La donna continua a essere considerata la principale responsabile delle attività domestiche e di cura: oggi le donne passano in media quattro ore al giorno a svolgere lavori domestici e di cura non retribuiti, mentre gli uomini impiegano un’ora e mezza al giorno. Uno strumento utile per distribuire il carico del lavoro di cura è il congedo parentale che, tuttavia, anche quando è disponibile per gli uomini viene utilizzato prevalentemente dalle madri. Per conciliare le attività domestiche e di cura con il lavoro, le donne sono spesso portate a scegliere impieghi part-time, flessibili e con salari minori.
Le disuguaglianze in ambito lavorativo si traducono anche in un divario nelle pensioni percepite (gender pension gap), rendendo le donne anziane più vulnerabili e maggiormente esposte al rischio di povertà. In media le donne con più di 65 anni ricevono il 26% in meno degli uomini dal sistema pensionistico, con divari minimi in Estonia (3%) e massimi in Giappone (47%). In Italia la differenza si attesta sopra al 30%. Nonostante l’aumento della partecipazione femminile nel mercato del lavoro, tra il 2000 e il 2018 il gender pension gap è diminuito solo del 4%.
Le discriminazioni di genere possono limitare l’accesso delle donne alle informazioni e alle risorse necessarie, esponendole maggiormente ai rischi degli eventi estremi: le donne hanno circa 14 volte maggiori probabilità di morire durante e dopo un disastro naturale rispetto agli uomini. La capacità di nuotare senza assistenza, ad esempio, diventa fondamentale nei casi di alluvione: in media, però, solo il 40% delle donne è in grado di nuotare senza assistenza rispetto al 66% degli uomini. I motivi di questo divario sono diversi, dall’idea che gli uomini siano maggiormente adatti agli sport alle norme religiose e sociali per cui le donne non devono mostrare il proprio corpo in pubblico.
Fonte copertina: Empowering women for the good of society: gender-based resilience (2023)
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