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Responsabilità editoriale di ASviS
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Il blu, in psicologia, è il colore della pacatezza, della calma, della ricerca di equilibrio.
Porta con sé un sentimento di pace e rispetto. Il blu è anche il colore che ha dipinto Piazza del Popolo il 15 marzo, nella Capitale, in occasione della manifestazione “Una Piazza per l’Europa”, organizzata su iniziativa del giornalista di Repubblica Michele Serra, trasmettendo proprio questi sentimenti. Con circa 50mila persone, questa manifestazione “trasversale” è stata probabilmente la più grande che ci sia mai stata in Italia per l’Europa. Una manifestazione in cui c’erano chiaramente, ma anche rispettosamente, opinioni diverse su come procedere di fronte alle sfide poste dal panorama geopolitico attuale e futuro, ma anche, e soprattutto, una convergenza sui valori e una forte richiesta di “Più Europa”.
Ed è proprio dai messaggi e dagli appelli lanciati con forza dalla Piazza che sorge l’interrogativo su che seguito dare a quanto accaduto. Così voglio offrire alcune letture e riflessioni, a partire dalla consapevolezza che l’Europa può sopravvivere solo se unita.
“Se un’Europa unita non riprende il suo cammino, il nostro destino futuro e quello dei nostri figli non sarà garantito”, ha affermato il giornalista Corrado Augias dal palco della manifestazione, “perché è in corso uno scontro globale per il possesso del mondo, che richiede accanto ai tre giganti [Usa, Cina e Russia, ndr] che si stanno spartendo il Pianeta, un quarto protagonista. Nessuno dei 27 Paesi dell’Ue, neanche il più forte e il più popoloso, cioè la Germania, da solo conta qualcosa. Divisi, i Paesi europei non contano quasi nulla. Uniti […] possiamo essere il quarto protagonista di questo scontro titanico in corso”.
Parole che esprimono molto chiaramente l’urgenza di una maggiore integrazione europea e quindi di una riforma dei meccanismi di funzionamento dell’Unione e delle relazioni tra Consiglio europeo, Parlamento e Commissione. Parole che devono anche spingerci a chiederci, una volta di più, se vogliamo agire insieme o divisi, consapevoli che senza una volontà comune non conteremo nulla nella scacchiera geopolitica e non riusciremo a proteggerci dai rischi esterni.
Sono temi su cui l’ASviS richiama l’attenzione da tempo, quando l’opinione pubblica italiana era colpevolmente appassionata da pandori e cose del genere. Ad esempio, ci riflettevamo già, un anno fa, durante un evento ASviS alla vigilia delle elezioni europee, con Enrico Giovannini, direttore scientifico dell’Alleanza, Romano Prodi, già presidente del Consiglio dei ministri e della Commissione europea, e il Cardinale Matteo Zuppi, presidente della Conferenza episcopale italiana. “O la smettiamo con il voto all’unanimità o l’Europa non conta più nella pace”, aveva detto Prodi, “stiamo morendo di mediazioni”. “Dobbiamo andare verso un’Europa federale e non confederale come lo è ora, chi dice più Italia e meno Europa vuol dire che non ha capito nulla della lezione della pandemia, che non condivide il trattato dell’Unione europea e l’etica del risolvere insieme i problemi”, aveva aggiunto Giovannini, proponendo, tra l’altro, di dare al Parlamento europeo anche il potere di iniziativa legislativa (mentre oggi può solo reagire alle proposte della Commissione e in alcuni casi del Consiglio), rafforzando così la democrazia.
E proprio di democrazia vorrei parlare nel prossimo punto, considerata la centralità che ha avuto alla manifestazione. C’è chi ha sollevato la critica “uniti sì, ma uniti solo per un giorno”, quando poi siamo divisi su “se” e “come” rafforzare la difesa attraverso il riarmo. Ebbene, ciò che ha ricordato con forza la piazza è che la democrazia non è pensare uguale, ma è un valore guida comune: “Siamo in tanti e siamo diversi. Siamo in tante e siamo diverse. Perché una piazza europea non può che essere una piazza di persone che su parecchie cose non la pensano allo stesso modo", ha affermato Michele Serra, precisando che non importa che partito voti, in che Dio credi, in che modo diverso pensi sia meglio difendere l’Europa, la democrazia ha la capacità di unire persone e idee diverse.
Costruire, conservare, rafforzare la democrazia è una grande sfida, tutt’altro che semplice, a tutte le latitudini e a tutti i livelli di sviluppo, basta guardare cosa sta accadendo negli Stati Uniti. Avere un singolo individuo che decide per tutti per certi versi è più facile: niente processi lunghi, si va dritti al punto. Ma prendiamo per un momento il detto “da soli si va più veloci, ma insieme si va più lontano”, e affidiamo a “insieme” il significato di dialogo, confronto, ricerca di posizioni comuni, dunque sbagliare e imparare. Perché come detto dal cantautore Roberto Vecchioni in Piazza del Popolo, “l’Europa è pensiero continuo. È un continuo sovrapporsi, migliorarsi, cambiarsi, con errori infiniti. Perché la democrazia è fatta da errori da correggere, non nasce perfetta”. La parola “lontano” assume qui il significato di andare verso ideali comuni volti a garantire benessere non al singolo ma all’intero popolo, nonché dignità e uguaglianza, una vita sana in un ambiente sano, giustizia e pace. Ideali che ritroviamo tanto nel Trattato dell’Unione europea, quanto nell’Agenda 2030 dell’Onu per lo sviluppo sostenibile.
Questi valori sono stati ben raccontati anche dall’attore e regista Fabrizio Bentivoglio, che sul palco ha letto il discorso di Pericle al popolo ateniese nel 431 a.c., che consiglio di ascoltare in versione integrale. Una lettura che ben illustra il significato della democrazia, l’orgoglio di essere europei e l’importanza di difendere i valori in cui crediamo, quali la libertà, la solidarietà, l’onestà, l’uguaglianza. Gli stessi, ancora, che ritroviamo nel manifesto di Ventotene. Il progetto fondativo dell’Europa libera e democratica, redatto nel 1941 da Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi può aiutarci a ricordare la bellezza di avere un’anima europea comune, in grado di andare oltre gli egoismi nazionali, e l’importanza di difenderla. La premier Giorgia Meloniha preso le distanze da alcuni passaggi del Manifesto, considerato che contiene, come sottolineato nel passato dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, formulazioni frutto dello spirito di quei tempi, che peraltro non si ritrovano nel Trattato dell’Unione europea. Come sottolineato da Roberto Benigni in diretta Rai, “non per questo viene meno la sua visionarietà, la grandezza di vedute. Come dire che la Bibbia non vale niente, perché c’è scritto che bisogna lapidare chi lavora il sabato. Il punto centrale è superare i nazionalismi che avevano distrutto il continente”. L’idea di un’Europa federale, che prima era solo un sogno, ha aggiunto l’attore, con il documento è diventato “un progetto politico”, basato sulla giustizia sociale. Così come dobbiamo ricordarci che anche la pace va difesa. Lo ha evidenziato bene Vecchioni, ricordando che “non esiste corrispondenza tra pace e pacifismo. Non si può accettare qualsiasi pace. I veri pacifisti siamo noi, perché teniamo alla nostra cultura”. Insomma, non possiamo accettare incondizionatamente qualsiasi pace, anche perché potranno esserci occasioni in cui dovremo difendere in modo attivo i valori culturali europei e i cittadini dell’Unione europea.
Il come difenderci, però, è un tema estremamente complesso. L’Europa vuole, anzi deve dopo il cambio di politica degli Stati Uniti, essere in grado di difendersi da sola, ma ad oggi non esiste una vera difesa europea comune ed è impossibile realizzarla senza una volontà comune. Al di là degli aspetti tecnici e organizzativi, nei quali non entro, è in corso una dialettica democratica sulle possibili modalità di difesa, con posizioni legittime che rispecchiamo tutta la complessità della problematica. C’è chi, come Ursula von der Leyen, invoca “l’era del riarmo” chiedendo di rafforzare gli eserciti nazionali (come ha già deciso di fare la Germania) per lavorare poi su un coordinamento europeo; c’è chi non vuole investire negli armamenti, perché ritiene ci siano questioni più importanti; c’è chi, anziché investire sui dispositivi nazionali, vorrebbe costruirne direttamente uno europeo.
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di Flavia Belladonna
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