Si è chiuso con una pronuncia di
inammissibilità il primo grado di giudizio nella causa climatica
intentata nel 2021 contro lo Stato italiano da 24 associazioni e
179 individui. Nella sentenza, emessa dalla giudice Assunta
Canonaco, della Seconda Sezione del Tribunale Civile di Roma, si
afferma che il tribunale adito non ha competenza per esprimersi.
l team legale che ha seguito la causa, composto da avvocati e
giuristi della Rete Legalità per il clima, annuncia che farà
appello. Lo rende noto l'associazione A Sud (una dei promotori)
con un comunicato.
"Con la causa - spiega la ong - si chiedeva al giudice -
considerata l'esistenza di un preciso dovere dello Stato
nell'agire efficacemente per rispettare gli impegni assunti in
ambito climatico e tutelare i diritti fondamentali minacciati
dagli stravolgimenti climatici - di riconoscere che
l'insufficienza delle politiche climatiche in campo minaccia il
godimento dei diritti fondamentali e, di conseguenza, di imporre
allo Stato di rivedere al rialzo gli obiettivi di riduzione
delle emissioni".
"Si tratta di un' occasione persa per le istanze sociali ed
ambientali nel nostro paese - spiega Marica Di Pierri, portavoce
di A Sud e co-coordinatrice della campagna 'Giudizio Universale'
-, ma la volontà di non esprimersi del tribunale di Roma non
comporta che non ci siano i presupposti per una condanna dello
Stato. Secondo il tribunale nessun giudice italiano può tutelare
i diritti fondamentali minacciati dalla inefficienza delle
politiche climatiche dello Stato, come avvenuto in molti paesi
europei. È una scelta di retroguardia".
Tra i ricorrenti dell'azione legale c'è Luca Mercalli,
climatologo e divulgatore, presidente della SMI, Società
Meteorologica Italiana: "Che l'Italia non stia facendo
abbastanza per ridurre le emissioni è sotto gli occhi di tutti -
ha commentato -. Che la politica non ascolta la scienza né i
cittadini anche. In molti paesi i tribunali hanno fatto la
differenza. Peccato che in Italia si sia persa questa importante
occasione e tempo prezioso".
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