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Cancro al polmone dei non fumatori, identikit di Nsclc Alk+

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Cancro al polmone dei non fumatori, identikit di Nsclc Alk+

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In collaborazione con Pfizer

La mutazione è più probabile tra pazienti under 55

ROMA, 22 luglio 2024, 11:10

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Tra i pazienti con cancro al polmone non a piccole cellule (Nsclc) sono tre le caratteristiche che rendono più probabile la rilevazione della proteina di fusione Eml4-Alk, che favorisce crescita tumorale e metastasi: la presenza di adenocarcinoma polmonare, un'età inferiore ai 55 anni e, soprattutto, la debole o addirittura assente abitudine al fumo. Questo tipo di mutazione, in sostanza, interessa in particolare persone relativamente giovani e, generalmente, non o deboli fumatori.
Si stima che tra gli Nsclc (l'85-90% dei casi di tumore) una piccola parte, tra il 3 e il 5%, riporti la proteina Eml4-Alk.
In Italia sono oltre 2500 i casi di Nsclc Alk mutati. Tale molecola deriva da una traslocazione (spostamento) del gene Alk accanto a un altro e la successiva fusione tra i due, potenzialmente responsabile dello sviluppo di adenocarcinoma polmonare. Essa favorisce la crescita tumorale e la metastasizzazione delle cellule neoplastiche (quelle che si staccano dal luogo di origine).
"L'adenocarcinoma è un cancro molto aggressivo, come tutti i tumori polmonari sostenuti da un gene alterato", spiega il Prof.
Filippo de Marinis, direttore divisione di Oncologia toracica all'Istituto europeo di Oncologia (Ieo) di Milano e Presidente Aiot (Associazione italiana di oncologia toracica). "Con farmaci inibitori di tale alterazione, noi riusciamo a trasformare questa aggressività in una malattia più contenuta, e allungare la sopravvivenza dei pazienti".
La traslocazione del gene Eml4-Alk fu identificata per la prima volta nel 2007, in un paziente di 62 anni con adenocarcinoma del polmone. Da allora sono stati sviluppati diversi farmaci inibitori di Alk. Dopo l'approvazione di trattamenti di prima e seconda generazione, oggi si è arrivati a lorlatinib, inibitore della tirosin-chinasi (Tki) di terza generazione. I risultati dello studio Crown di Pfizer sono senza precedenti: riduzione del rischio di progressione di malattia o morte pari all'81% rispetto a crizotinib (altro inibitore), e tasso di sopravvivenza a cinque anni senza progressione della malattia del 60%, contro l'8% dei trattati con crizotinib.
"Lorlatinib si candida a essere il trattamento standard in ragione dei risultati di efficacia finora dimostrati, in incremento rispetto ai farmaci tradizionalmente in uso e in grado di essere governati con atteggiamento proattivo da parte del team curante e dello stesso paziente", conclude De Marinis, che è membro dello Steering committee Crown.
   

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