Secondo il rapporto, che è la prima valutazione importante dell'organizzazione dei suoli contaminati dal sale dal 1950, la regione del Medio Oriente e del Nord Africa "sperimenta una complessa interazione di fattori ambientali che contribuiscono alla salinità del suolo". Lo studio cita alti tassi di evaporazione, precipitazioni limitate, pratiche di irrigazione inappropriate e competenze inadeguate nell'uso di acqua salmastra, trattata e di rubinetto. Il rapporto afferma che a livello globale "quasi 1,4 miliardi di ettari di terra (poco più del 10 per cento della superficie terrestre totale) sono già colpiti dalla salinità, e un ulteriore miliardo di ettari sono minacciati dalla crisi climatica e dalla cattiva gestione umana".
Il rapporto offre una serie di strategie per gestire in modo sostenibile i terreni contaminati dal sale. Le strategie di mitigazione includono la pacciamatura, l'uso di strati intermedi di materiale sciolto, l'installazione di sistemi di drenaggio e il miglioramento delle rotazioni delle colture. Le strategie di adattamento includono l'allevamento di piante tolleranti al sale (come le alofite, che prosperano nelle mangrovie, nelle sabbie tropicali, nelle scogliere costiere e persino nei deserti salati) e il biorisanamento, ovvero l'uso di batteri, funghi, piante o animali per rimuovere, distruggere o sequestrare sostanze pericolose dall'ambiente. Evidenziando il legame critico tra gestione sostenibile del suolo, qualità dell'acqua e produzione alimentare, "il rapporto delinea strategie per il recupero dei terreni agricoli contaminati dal sale, compresi campi emergenti come l'agricoltura salina e il biorisanamento della salinità", scrivono nel rapporto Lifeng Li, direttore della Divisione Terra e Acqua della Fao, e Jorge Batlle-Sales, presidente dell'International Network of Salt-affected Soils (Insas).
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